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LUIGI CAPUANA

 

IL RACCONTAFIABE

 

Seguito al «C'era una volta...»

 

 

Prefazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rammentate voibambiniil racconta-fiabecolui che viraccontò le storie di Spera di soledi Ranocchinodi Cecinadi Testa-di-rospoe di tant'altra gente meravigliosa?

Se ve ne rammentatedovete anche rammentarvi che egli pensòdi regalare le sue fiabe al mago Tre-PiVisto che voialtri non volevate piùsentirleperché le sapevate tutte a mente.

Egli sperava che il mago Tre-Pi conservasse quelle fiabe neicassetti del suo museoimbalsamate insieme con le altre fiabe antiche. Il Magodisse:

- Ahscioccosciocco! Non vedi Che cosa hai in mano?

Il raccontafiabe guardò: aveva in mano un pugno di mosche.

E tornò addietro scornato; e di fiabe non ne volle piùsaperedopo che le Fate gli avevano ripetuto:

- Fiabe nuove non ce n'è più; se n'è perduto anche ilseme.

Ora avvenne che non sapendo egli a qual altro mestiere darsirimase lungamente disoccupato.

Passava le giornate al soledavanti l'uscio di casa sua; espesso pensava a quelle care fiabeche gli si erano mutate in un pugno dimosche.

I bambini che lo vedevano sbadigliare su la sogliadell'usciogli domandavano:

- O che non ce n'hai più fiabe nuoveraccontafiabe?

Egli alzava le spallescrollava la testa e non rispondeva.Dove andare a pescarle?

Gli strani oggetti che gli erano stati regalati da fataFantasianon potevano più servire. Ognuno di essi gli aveva già suggerito lasua fiabaappena egli l'aveva preso in mano; e dopo non c'era stato verso dicavarne più niente. Tornare da fata Fantasia gli pareva una bellasfacciataggine. E poicome rintracciare un'altra volta CenerentolaCappuccettorossoPelosinaPulcettino e tutti gli altri che lo avevano condotto allagrotta della Fata e l'avevano pregata di aiutarlo? La fiera delle Fate ricorreuna volta ogni mille anni; e il capitarvi in mezzo era stata proprio una rarafortuna.

Per ciò egli sbadigliavae con le mani in manogodevasi ilsolein mancanza d'altrosu la soglia dell'uscio.

Una nottenon potendo chiuder occhiogli passò pel capo dicercare il sacchettino dov'erano conservati il ranocchiola stiacciatal'arancia d'orola serpicinal'uovo neroi tre anelli e le altre cosettineregalategli dalla Fata.

- Chi sa? Dopo tanto tempoforse avevano ripreso la lorovirtù.

Saltò dal lettocorse a cercare il sacchettino riposto inun armadioe tentò di fare come soleva. Prese a caso i tre anellie disse:

- C'era una volta...

Ma una voltaquantunque non sapesse neppure mezza parola diquel che doveva direappena aperta la boccala fiaba gli usciva filataquasil'avesse saputa a mente da gran tempo. Invano ora ripeté:

- C'era una volta...! C'era una volta...!

Gli usciva di bocca soltanto il fiato.

Stizzitoafferra il mortaioci vuota il sacchettino dentroe poi pesta e pesta; ridusse in polvere ogni cosa.

Ne prese un pizzicoe strofinandolo con disprezzo fra leditaesclamò:

- Così non mi verrà più la tentazione di provaree dire:C'era una volta!...

Ma non aveva ancora finito di pronunziare queste parolechegià su la punta della lingua gli s'agitava una fiaba nuova. E se la raccontòda sédivertendosi come un bambino.

Allorasbalorditoprese un altro pizzico di polvere e:

- C'era una volta!...

Ed ecco un'altra fiaba nuova nuovach'egli si raccontò dasédivertendosi come un bambino

Il pover'uomodall'allegrezzanon capiva nella pelle. Glipareva mill'anni che si facesse giornoper andare per le piazze e per le vie:

- Fiabebambinifiabe! Chi vuol sentire le fiabe!

Raccolse delicatamente nel sacchetto tutta la polvere delmortaiosenza perderne un granellino; eappena fatto giornouscì di casa.

Non era tranquillo però:

- Chi sa se queste fiabe piacciono quanto quell'altre?

E gli tremava un po' la voce nel gridare:

- Fiabebambinifiabe! Chi vuol sentire le fiabe!

I bambini accorsero e si divertirono:

- Un'altra! Un'altra!

E ne mise fuori più d'una dozzina. Chi non le ha udite dallabocca del raccontafiabepuò leggerle con comodo in questo libro.

Sono proprio le ultime.

Al povero raccontafiabe è accaduta una disgrazia. Una serastanco di aver raccontato fiabe tutto il giornosi buttò sopra un sedile dipietra del giardino pubblico e si addormentò. Allo svegliarsicerca e ricercail sacchettino con la polvere portentosa che gli suggeriva le fiabenon loritrovò più. E lo ricerca tuttaviapoverino!

 

Luigi Capuana

 

Roma13 settembre 1893

 

 

 

Piuma-d'-oro

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta un Re e una Regina che avevano una figliabella quanto la luna e quanto il sole; tanto frugola peròche facendo ilchiasso metteva sossopra tutto il palazzo reale; capricciosa e bizzosa poiquanto può essere una bambina che i genitori non sgridavano mai. Più grosse lefaceva e più questi ne ridevano:

- Ahahche frugolina! Ahahche frugolina!

Ma un giorno pianseroe come! della loro eccessivabenevolenza. Il Re stava per andare a caccia; al portone del palazzo trovò unavecchiarella cenciosaricurvache si appoggiava a un bastone per reggersi.

- Che voletebuona donna?

- Cerco del Re.

- Il Re sono io.

La vecchia gli fece una bella riverenza e gli porse unalettera:

- È del Re di Spagna.

Il Re di Spagna pregava d'alloggiarla per una notte nelpalazzo realecome se fosse stata la sua stessa persona:

- Non le domandate né donde venga né dove vada; non vipentirete d'averle usata cortesia.

Il Re credette che fosse uno scherzoe diè ordine che lepreparassero una stanzina in soffitta e la mettessero a tavola coi servitori.

- GrazieMaestà - disse la vecchia.

E andò a rannicchiarsi in soffitta.

A tavolacoi servitorimangiava zitta zitta in un cantoquand'ecco quella frugolina della Reginotta che le versa la saliera e lapepaiuola nella minestra:

- Sentirete che sapore!

E tutti i servitori a ridere:

- Ahahche frugolina! Ahahche frugolina!

La vecchia non fiatòe mangiò la minestra come se nientefosse stato.

Il Re e la Reginasaputa la cosasi messero a ridere ancheloro:

- Ahahche frugolina! Ahahche frugolina!

La vecchialevatasi da tavolacercava il bastone e non lotrovava. Guarda nel camino e vede che il bastone era già mezzo arso dal fuoco;e la Reginottacontorcendosi dalle risale diceva:

- È ben caldo: vi servirà meglio.

E tutti i servitori a ridere:

- Ahahche frugolina! Ahahche frugolina!

La vecchia trasse il bastone dal fuocoe uscì di cucinaappoggiandosicome se niente fosse stato.

Il Re e la Reginasaputa la cosasi messero a ridere ancheloro.

La mattina doponel punto d'andar viala vecchia trovò sulpianerottolo la Reginotta che l'aspettava:

 

- Vecchinadonde venite e dove andate?

Vecchinache ricordo mi lasciate?

 

E colei risposebrontolando:

 

- Dove vado e donde vengo

C'è la pioggia e soffia il vento.

Tu col vento ci verrai

Con la pioggia te n'andrai.

 

La toccò col bastonescese le scale e sparì.

Da quel giornola Reginotta cominciò a scemare di peso. Nondimagravanon diventava bruttaaveva la giusta crescenzama da un meseall'altro si sentiva sempre più leggiera. Arrivata a diciotto anniall'apparenza era una ragazza bellabianca di carnagionecon un mucchio dicapelli d'oroma pesava meno d'una piumae il più lieve soffio la portavavia.

Figuratevi la disperazione del Re e della Regina.

Bisognava tener chiuse tutte le finestre del palazzo reale;non potevano condurla fuori per paura che il vento non la trasportasse chi sadove. E siccome la poverina a star rinchiusa s'annoiavae il Re e la Regina nonvolevano che la gente sapesse la disgrazia della loro figliuolacosì persvagarla passavano le giornate a soffiarle attorno e a farla volare pei corridoie per gli stanzoni del palazzo.

Ella si divertiva immensamente a sentirsi sballottare perariae gridava:

- SoffiateMaestà! AncoraMaestà!

Il Re e la Regina ci rimettevano i polmoni per farla andarein alto. Ma più alto ella salivae più forte gridava:

- SoffiateMaestà! AncoraMaestà!

Re e Regina non potevano mica stare tutto il santo giorno afare da soffietto; e la Reginotta s'imbronciava e piangeva. Vedendola piangerei poveri genitori tornavano subito a soffiareil Re da una parte e la Reginadall'altra; e leiriprendendo subito il buon umorebatteva le mani:

- SoffiateMaestà! AncoraMaestà!

La facevano montare fino al soffitto; le correvano dietro peri corridoisoffiandosoffiandosoffiando per farla stare allegraperchéquella povera figliuola non poteva avere altro svago; e quando si riposavanoansimanti dall'aver soffiato troppoRe e Regina si lamentavano:

- Figlia disgraziatachi ti ha fatto questa malìa?

Una voltaa tali parolela Reginotta si rammentò dellarisposta della vecchiae disse:

- È stata quella vecchia!

- Come mai?

- Mi rispose:

 

Dove vado e donde vengo

C'è la pioggia e soffia il vento.

Tu col vento ci verrai

Con la pioggia te n'andrai.

 

Se avesse potuto rintracciare la vecchiail Re le avrebbedato un tesoro per disfare la malìa. Ma chi sa dove lucevano gli occhi diquella Strega?

E Re e Regina continuarono a soffiare e a spingere in altoPiuma-d'-orocome chiamavano la figliuola perché era bionda e i suoi capelliparevano d'oro filato. Piuma-d'-oro oramai pensava soltanto a divertirsi a quelmodo. Mangiava di buon appetitocresceva di corporaturadiventava anche piùbella; il suo peso però era talmente scematoche una piuma vera sarebbe parsadi piombo al paragone. Bastava quasi un alito per farla salire in alto; pure nonsi contentava maise il Re e la Regina non soffiavano forte:

- SoffiateMaestà! AncoraMaestà!

Re e Regina non reggevano più. Dopo due anni di questolavoros'accorsero chea furia di soffiarecominciava ad allungarglisi ilmuso; e Piuma-d'-oro intanto diventava più esigentevoleva spassarsela sempreper alta. Non aveva altro svagoin verità; ma i genitori potevano stareeternamente a soffiare? E quand'essi sarebbero mortichi avrebbe avuto lapazienza di continuare? Non si davano pace.

Intanto s'era sparsa pel mondo la fama della bellezza dellaReginotta; il Re di Portogallo mandò a richiederla pel Reuccio che dovevaprendere moglie.

Grande imbarazzo. Se rispondevano noil Re di Portogallopoteva offendersi e dichiarare una guerra.

Re e Regina stettero un giorno e una notte a consultarsieall'ultimo decisero di prendere un anno di tempo per fare le nozze.

Il guaio peggiore fu allorché il Reuccio scrisse che sarebbeandato a fare una visita alla promessa sposa per conoscerla di presenza.Bisognava palesare l'infermità della Reginottae questo ai genitori coceva.

Vedendoli così afflitti che non avevano più animo e forzadi soffiare e farla volare per ariala Reginotta disse:

- Maestàgiacché la vecchia brontolò: «Tu col vento civerrai»lasciatemi andare; la mia sorte vuole così.

Piantigrida disperate:

- Non sarà maifigliuola mia! Non sarà mai!

Ma la Reginotta s'ostinò:

- Lasciatemi andare. Il cuore mi predice che me ne verràbuona fortuna.

Il Re e la Regina alla fine si rassegnarono; e un giorno chetirava un furioso maestralecondussero in lettiga la figliuola sopra un monte;l'abbracciaronola benedissero e l'abbandonarono in balìa dei vento.

In un batter d'occhio fu sollevata in alto e spinta cosìlontano chedopo pochi minutila perdettero di vista.

Lasciamo costoro a piangeree seguitiamo la Reginotta.

Quantunque afflitta anche leidopo alcune ore di viaggiovedendosi trasportata a tanta altezza e così rapidamente come non aveva maiprovatosi rasserenò e si mise a guardare in giùtorno torno. Chespettacolo! Cittàmontagnepianurefiumiboschitutto le passava via sottodi séquasi lei stesse ferma e le cose fuggissero precipitosamente perl'opposta direzione.

Se il vento talvolta soffiava meno forteella scendevagirandopoi tornava a essere sollevata e sbalzata fino alle nuvoleandandosempre avantisempre avantisorpassando nuove cittànuove montagnenuovepianureboschi più fittifiumi più larghi. Tutt'a un tratto s'accorse che laterra era sparita. Acquaacquaacquanon si vedeva altroacqua che siagitava in cavalloni spumeggiantie poi acquai acqua ancora... Era il mare.

Quando il vento la faceva scendere giùPiuma-d'-oro avevapaura. Una volta gli spruzzi dei cavalloni le arrivarono proprio alla facciaesi credette perduta. Ma ecco una folata che la fa risaliree la spinge ariprendere la corsa precipitosa... E ancora acquaacquaacqua!...

Poi le parve che il sole si spegnesse nel maree che un velovi si stendesse sopramentre in altonel cielo buioapparivano le stelle. Ilcuore le diventò piccino piccinoe si mise a piangeree a gridare:

- Ahmamma mia! Ahmamma mia!

Il vento però la cullava così dolcementeche a poco a pocole si aggravarono gli occhi; senza accorgersenesi addormentò quasi si fossetrovata nel proprio letto.

Quante miglia aveva fatte durante il sonno? Chi potevasaperlo?

All'albariaprendo gli occhisi senti slargare il pettorivedendo di nuovo pianure verdeggianti. Piuma-d'-oro volava così bassochedistingueva benissimo le case di campagnagli alberile viei rigagnolifrala gente; le persone sembravano tante formiche. E scendendo ancora più giùs'accorse che i contadini la guardavanolevando le mani in alto per accennarlaagli altri; e sentiva le loro voci:

- Che sarà mai? È un uccellaccio?

Il sole era già alto. Il ventodiminuitopareva cheproprio si divertisse a cullarla per aria.

I capelli si erano sciolti e le svolazzavano attorno alcollole vesti si gonfiavano e sbattevanoquasi ali che la reggessero su.

Stava per arrivarefinalmentedove la sua sortebuona otristavoleva portarla?...

Intanto lo stomaco cominciò a farsi sentire. Da un giorno euna notte ella non ci aveva messo più nienteneppure una stilla d'acqua. Cometrovar da mangiare lassù per aria?

Passava uno stormo di uccelli

- Uccelliniuccellinidatemi qualcosa di quel che portatein becco; muoio di fame.

- I figlioletti ci attendono nei nidi; questo cibo è perloro.

Gli uccelli continuarono il loro cammino. Il vento la spinsepiù alto. Passava una fila di nuvole.

- Nuvolenuvole belledatemi una stilla d'acqua; muoio disete.

- Quest'acqua è pei seminati; abbiamo fretta.

E le nuvole continuarono il loro cammino..

Verso il tramontoecco laggiùlontanouna montagnarocciosacon in cima un palazzo che pareva di marmo bianco e nerograndequanto una cittàmeraviglioso. Piuma-d'-oro si fece animo e pensò:

- Mi fermassi almeno colà! Ahmamma miami sento morire!

Infattidalla debolezzale venne una mancanza; non vide nésentì più niente; e quando rinvennesi trovò stesa su la terrazza delpalazzo veduto da lontano.

Scese per la scaletta che conduceva all'internosperandod'incontrare qualcuno; non si scorgeva anima viva.

Le pareti delle stanze erano di marmo biancole corniciglistipiti degli usci e le colonnedi marmo grigiastro. Tavoliniseggiolelettimobilidi marmo bianco o grigiastro. E dappertutto uno strano odore di sale edi pepe.

Aperse un armadio; piatti con pietanze svariatee panini efrutta e dolci; ogni cosa però scolpita in marmo bianco o grigiastroe con unodore così forteche la faceva starnutire.

Spinta dalla fameaccostò alla bocca una di quelle fintevivande. Stupì; erano proprio di sale e di pepe. Allora si convinse chel'intero palazzo era fabbricato con massi di sale ben levigati e con pepe tantosodamente impastatoda eguagliare il marmo.

Si rammentò della saliera e della pepaiola da lei versataquand'era bambinanella minestra della vecchiae disse:

- Questo è il suo palazzo. Mi castiga così.

E si mise a gridarepiangendo::

- Vecchinao vecchina! Dammi da mangiarevecchina!

Una voce fioca fioca rispose da lontano:

- C'è tanta roba costì; sentirai che sapore!

Costretta dalla necessitàPiuma-d'-oro prese un panino euna mela e cominciò a sbocconcellarli. Sapevano proprio di pane e di melamasalati e pepati!

E Piuma-d'-oro a gridarepiangendo:

- Vecchinao vecchina! Dammi da berevecchina!

La voce fioca fioca rispose da lontano:

- C'è tanta roba costì; sentirai che sapore!

Prese una bottiglia e un bicchiere; l'acqua versata eratorbida. Purecostretta dalla necessitàPiuma-d'-oro bevve tutto d'un fiato.Oh Dio! Anche l'acqua era salata e pepata.

E così tutti i giornisenza veder mai viso di cristiano perquell'immenso palazzo. Fino gli alberi del giardino e i fiori e l'erbe erano disale e pepe. E Piuma-d'-oro starnutiva starnutivaversando goccioloni dilagrime.

Veniamoora al Reuccio di Portogalloarrivato per visitarela Reginotta.

Il Re e la Regina gli disseropiangendo dirottamente:

- La Reginotta se la portò via il vento!

Da prima si credette canzonato; poiudita la storia diPiuma-d'-orodisse:

- Vado a cercarla.

- Dove mai?

-In capo al mondo. Voglio trovarla a ogni costo.

Montò a cavallo e viasolo solodomandando dappertutto:

- In graziaavete visto passare per aria una bella ragazzatrasportata dal vento?

Molti lo presero per mattoe non gli risposero neppure.

- Ingraziaavete visto passare per aria una bella ragazzatrasportata dal vento?

- L'abbiamo vista. Volavavolava; pareva un uccellaccio.

- E per dove?

- Drittoavantiavanti.

Il Reuccio spronò il cavallo. Incontrò altra gente:

- Di graziaavete visto passare per aria una bella ragazzatrasportata dal vento?

- L'abbiamo vista. Volavavolava; pareva un uccellaccio. Poiil vento la spinse in altoe sparì fra le nuvole.

A questa notizia il Reuccio si perdé di coraggio; e stavaper tornarsene addietroquando fra le macchie scorse un vecchio con la barbabiancalunga fino ai ginocchie con una zappa in mano.

- Bel cavaliereChe cercate da queste parti?

- Cerco la reginotta Piuma-d'-oro che fu portata via dalvento. In grazial'avete vista passare?

- Chiedeva da mangiare agli uccelli e da bere alle nuvole: manuvole e uccelli non le diedero nientee continuarono il loro cammino. Chi vaarriva; chi cerca trova. Coraggiobel cavaliere!

- E voi chi siete?

- Un povero vecchio. Dovrei scavare una radica quima non hoforza.

- Datemi la zappa; scaverò io per voi.

Il Reuccio smontò da cavallo e si mise a scavare.

Scavascavascavala radica non veniva fuori.

- Coraggiobel cavaliere! Chi cerca trova.

Il vecchio aveva un bel dire; la radica non veniva fuori.

Il Reuccio grondava di sudoresi sentiva rotte le braccia.

- Coraggiobel cavaliere! Chi cerca trova... Grazie! Eccolaqui!

E il vecchio stese la mano alla radica terrosa

- Vi do questo fischietto - poi disse. - Se avete bisogno diqualche cosasonate e vedrete. Badate però di non perderlo; non ne troveresteun altro simile per tutti i tesori del mondo.

Il Reuccio ringraziòsi mise in tasca il fischiettorimontò a cavallo e proseguì il viaggio. Pensava alla Reginotta:

- Se avessi chi potesse scovarla!

E tratto di tasca il fischiettomezzo incredulogridò:

- Aquilaaquila messaggieraai miei comandi!

Fischiaed ecco l'aquila che scende dall'alto con le grandiali tese.

- Aquila messaggierava' attorno e recami notizie della miaReginotta; t'attendo qui.

L'aquila ripartì subitoe per due giorni non si fecevedere.

Al terzo giornoricomparve con una lettera al becco.

La Reginotta scriveva:

«Sono prigioniera nel palazzo di salee pepe d'una Fatadove non può entrare anima viva».

Il Reuccio rammentò allora le parole della vecchia che glierano state riferite:

 

Tu col vento ci verrai

Con la pioggia te n'andrai.

 

- Va bene - pensò.

E cavato di tasca il fischietto:

- Nuvolenuvoleai miei comandi!

Fischiaed ecco da ogni parte del cielo montagne di nuvoleche accorrono premurosegravide di pioggia.

- Aquilaaquila messaggieraai miei comandi.

Al fischioanche l'aquila ricomparve e scese a posarglisi aipiedi.

- Su suaquila mia! Portami al palazzo di sale e pepe dellaFata; e voinuvoledietro a me!

Inforcò l'aquilaquasi fosse stata un cavallo; e l'aquilaaperte le alilo trasportò in altovia pel cielo; essa col Reuccio avantiele nuvole densegravide di pioggiamontagne smisurate che oscuravano il soledietro a loroviavia!

La Fata visto dalla terrazza del suo palazzo quel temporaleche si avvicinavas'accorse del pericolo; e scatenò il libeccio che tenevachiuso in una stanza.

Il vento incontrò l'aquila e le nuvole a mezza stradae colsuo gran soffio non li faceva avanzare. La lotta durava da più oresenza chel'aquila e le nuvole avessero potuto guadagnare un palmo di spazio. Il libeccioinvece di stancarsi a soffiareprendeva anzi maggior forza.

- Aspetta un po' - disse il Reuccio.

Cavò di tasca il fischietto:

- Tramontanatramontanaai miei ordini!

Fischiò; e subito si levò una tramontana furiosachesoffiando di dietrospinse in avanti aquila e nuvole con violenza. In pochiistantitutti furono sul palazzo di sale e pepe della Fatae si fermarono.

- Ventochétati. Nuvole scioglietevi in pioggia!

Il Reuccio tornò a fischiare. Parve si aprissero a un trattole

cateratte del cielo; e intanto che la pioggia veniva giù atorrentiil palazzo di sale e pepe si andava squagliando; e giù per le goledella montagna precipitavano torbidi fiumi di sale e pepe liquefattichecorrevano verso il mare.

Piovve così sette giorni e sette nottifinché del palazzodella Fata non rimase vestigio. La Fata era sparita lasciando la Reginottaaggrappata a un massodopo averle ripetuto all'orecchio:

 

- Tu col vento ci verrai

con la pioggia te n'andrai.

 

Il Reucciomontato sull'aquilavoleva prendere con séPiuma-d'-oro. Ma che! A furia di mangiare sale e pepeella aveva riacquistatoil suo pesoe l'aquila non poteva reggerli addosso tutti e due.

- Grazieaquila forte.

Scese a terrae lasciò l'aquila in libertà.

La Reginottadall'allegrezzanon riusciva a dire neppureuna parola. Il Reuccio intantocavato di tasca il fischietto:

- Cavallicavalli bardatiai miei comandi!

Fischiae due magnifici cavalli bardati sbucano disottoterra davanti a loroscalpitanti. Egli stava per rimettersi il fischiettoin tasca; ma rieccoti il vecchio dalla barba biancalunga fino alle ginocchiache gli aveva fatto quel regalo:

- Reuccioil fischietto non vi serve più; rendetemeloeDio vi accompagni fino a casa.

Il Reuccio veramente voleva trattenerselo; era così comodo!

- Provate - soggiunse il vecchio; - in mano vostra nonfischia più.

Infatti non fischiava più. E il Reuccio glielo rese:

- Grazie di nuovobuon vecchio.

Dopo un mese di viaggioReuccio e Reginotta arrivarono sanie salvi ai palazzo reale.

Si sposarono con grandi feste e vissero felici e contenti. LaReginotta peròa ricordo della sua cattiveria di bambinafece voto di nonmangiare mai più né pepe né sale in vita sua.

E così finisce la storia di Piuma-d'-oro.

 

 

 

Grillino

 

 

 

 

 

 

C'era una volta due poveri contadinimarito e mogliechecampavano stentatamentelavorando da mattina a sera. L'omo andava a giornatala donna faceva dei servizietti alle vicine.

Abitavano una casetta affumicata a pianterrenoe avevanoappena un misero lettuccio e pochi altri mobili. Pure non si lamentavano mai.Andavano a dormire di buon'orae la mattinaprima dell'albaerano all'erta.

Una notte si sentono svegliare dal canto di un grillo.Trillatrillatrilla; non la finiva più.

L'omostizzitoaccende la candela e salta giù dal letto.

- Che vuoi faremarito mio?

- Ammazzare questo grillaccio.

- Lascialo stare; è creatura di Dio.

Il grilloveduto il lumetaceva.

Quell'omo torna a lettospegne la candela e chiude gli occhiper addormentarsi.

Il grillo riprese il canto. Trillatrillatrillanon lafiniva più.

- Non vuoi chetarti? Ora ti accoppo.

Riaccese la candelasaltò giù dal letto e si mise afrugare in tutti gli angoli.

- Dove ti sei ficcatogrillaccio?

E il grillo:

- Trih! Trih! Trih!

Colui si volta e corre verso il lato donde il trillo veniva.

- Dove ti sei ficcatogrillaccio?

E il grillodall'angolo opposto:

- Trih! Trih! Trih!

Pareva lo canzonasse.

Quella nottata marito e moglie non chiusero occhio.

- Cerca tu il grillo e ammazzalo - disse l'omo. - Se la notteventura ricominciame la prendo con te.

Il marito era manescoe la donnaappena egli andò viasimise a cercare attentamenteper non essere picchiata. Cerca quacerca lànonci fu verso di trovar niente.

- Forsesarà volato fuori dall'uscio.

Si tranquillò. Ma la notte appressoecco di bel nuovo ilgrillo:

- Trih! Trih! Trih!

Non la finiva più.

- Ahmarito mio! Ho frugato in tutti i posti e in tutti ibuchi e non mi è riuscito di trovarlo.

- Cercherai meglio domani. Intantoprendi queste!

Afferrato un legnostava per legnare la moglie:

- Se tu picchipicchio anch'io.

- Ripetilo un'altra volta! - urlò il marito.

- Non l'ho detto iomarito mio!

Il marito rimase. In camera non c'era nessun altriall'infuori di loro due. Parlava dunque il grillo?

- Creatura di Dioche chiedi da noi? - disse la donna.

- Non chiedo nulla.

- Che fai qui dentro?

- Guardo il tesoro

A queste parolel'omo accennò alla moglie di state zitta.Si rimise a letto e spense la candela. Il grillo subito subito:

- Trih! Trih! Trih!

Lo lasciarono cantate in pace fino all'alba.

Appena fatto giornoil contadinoinvece di andate alavorare in campagnaprese la zappa e cominciò a scavate il suolo dellacamerettadove non c'erano neppure mattoni.

Scavò fino a serama trovò soltanto sassicocci eterriccio. Aveva perduto la giornatasenza conchiuder nulla.

- Grillaccio bugiardo! Se questa notte ricomincit'accoppo.

Si misero a letto e spensero il lume.

- Trih ! Trih! Trih !

- Che vuoi faremarito mio?

- Ammazzate questo grillaccio.

- Attendi un po'. Creatura di Dioche chiedi da noi?

- Non chiedo nulla.

- Che sei venuto a fate qui dentro?

- Lasciami cantate tutta la nottata; domani te lo dirò.

E Trih! Trih! Trih! Non smise fino all'alba.

L'omo partì per la campagna. Rimasta solala povera donnacominciò a tremate dalla paura.

- Creatura di Dioche vuoi da me?

- Prendimi e mangiami; vedrai.

Ella aveva schifo di mangiate un grillo; ma sentendo che essoinsisteva: - Mangiamie vedrai! - si fece coraggio. Lo prese per le punte dellealise lo mise in bocca e masticò. Quel grillo era di un sapore squisito.Avesse avuto davanti un piatto intero di grillila donna lo avrebbe ripulito inquattro bocconi.

La serail marito tornò dai campi:

- Che ti ha detto il grillo?

- Mi ha detto: Mangiami e vedrai! E l'ho mangiato.

- Almeno non lo sentiremo cantar più!

Non fu così. Di tanto intantola nottedai corpo dellapovera donnasi sentiva: Trih! Trih! Trih! E ora non c'era verso di ammazzareil grillo; bisognava prima ammazzare lei.

Nove mesi dopola donna partorì e fece un bel bambinoilqualeappena natoinvece di piangeresi mise a trillare quasi fosse stato ungrillo davvero.

- Che nome gli daremo?

Il nome lo porta con sé; chiamiamolo: Grillo.

Grillinosin dai primi mesifu la disperazione della suamamma. Saltava dalla culladal lettodalle braccia di lei come un grillo adirittura.

- Grillinoti farai male! Ti accadrà qualche disgrazia.

E Grillino:

- Trih! Trih! Trih!

Non sapeva ancora parlaree rispondeva a quel modo.

Quando crebbe fu peggio. Per un nonnulla picchiava i ragazziche facevano il chiasso con luie poi spiccava un salto sul tetto d'una casain cima a un alberodove nessuno poteva raggiungerlo. E di lassù canzonava icompagni:

- Trih! Trih! Trih!

Era il suo verso.

Suo padre scoteva la testa a questeprodezze:

- Grillo è nato e grillo morrà.

La mamma cercava di prenderlo con le buone; se la genteveniva ad accusarglielo:

- GrillinoGrillinonon far dispiacere alla tua mammina.

- Trih! Trih! Trih! Lasciateli dire.

Finalmente Grillino ne fece una molto grossa.

Passava la carrozza reale con dentro il Rela Regina e laReginotta. Che fa egli? Spicca un salto sul cielo della carrozza e:

- Trih! Trih! Trih!

I cavalli si spaventanoprendono la mano del cocchiere e viaa rotta di collonitrendo e sparando coppie di calcifra le strida e gli urlidi tutti. Grillino intantocon le gambe larghe e le braccia aperteparevaincollato sul cielo e ridevarideva o riprendeva a trillare.

Quando gli parvespiccò un salto e giù. Cavalli e carrozzasi fermarono a un tratto. Questa volta però Grillino non fece a tempo perscappare. I soldati che seguivano a cavallo la carrozza del Re e che le eranocorsi dietro di galoppofurono più lesti di lui; lo afferraronoloammanettarono e lo condussero in prigione.

- AhGrillinoGrillino! Te l'avevo predetto: T'accadràqualche disgrazia!

- Mamminastate allegra; non è niente.

Suo padrescotendo il capo:

- Grillo è nato e grillo morrà!

In prigioneGrillino non sapendo come spassarsisidivertiva al suo solitotrillando da mattina a sera.

La sua prigione si trovava proprio sotto le stanze del Reequel trillo gli rompeva il capo.

- Per ordine di Sua MaestàGrillinosta' zitto!

A chi dicevano? Al muro?

- Trih ! Trih! Trih!

Il Reinfuriatoordinò:

- Tagliategli la testa!

La Reginottaudito che le guardie andavano alla prigione permozzare la testa a Grillinocorse a gettarsi al piedi del Re:

- Maestà; se fate ammazzare Grillinomi accade una grandisgrazia!

- Chi te l'ha detto?

- Una voce dal fondo del cuore. GraziaMaestà!

- E se non si cheta?

- Glielo dirò io; si cheterà.

La Reginotta andò lei in persona alla prigione.

Le guardie già avevano legato Grillinocon le mani aldorsoe stavano per farlo inginocchiare bendatodavanti al ceppo su cuidovevano mozzargli la testa.

- Grazia di Sua Maestà! TuGrillinointanto devipromettermi di stare zitto.

- Non possoReginotta. Trih! Trih! Trih!

- GrillinoGrillinofallo per amor mio!

Grillino questa volta si mise a cantare:

 

- GrilloGrillino

Se non gli dà la figlia il suo sovrano

Notte e giorno trih! trih! GrilloGr!li!no!

 

Come? Voleva sposare la Reginotta? O ch'era ammattito? LaReginotta la prese in ridere e disse al Re:

- MaestàGrillino è pazzo. Vuole sposarmi. Canta:

 

Se non gli dà la figlia il suo sovrano

Notte e giorno trih! trih! GrilloGr!li!no!

 

Il Re però non la prese in burla:

- Ecco come gli darò la figlia! Mozzategli la testa.

Le preghiere della Reginotta non valsero più. Le guardietornarono a legar Grillino con te mani al dorso e lo fecero inginocchiarebendatodavanti al ceppo:

- Grillinoraccomandati a Dio!

- Trih! Trih! Trih!

Il boia alzò la scure e diè il colpo.

La scure rimbalzòcol taglio acciaccatoquasi il collo diGrillino fosse stato di bronzo.

A questo portentoboia e guardieatterritiscapparono agambee non pensarono neppure a chiudere la prigione.

Grillinoin un lamposciolto e sbendatodiè un paio disalti e fu all'aria aperta. Un altro salto e montò sul tetto del palazzo realeproprio dov'erano le stanze del Re e subito:

- Trih! Trih! Trih!

Non la finiva più!

Il Re aveva fatto il Capo come un cestone con quel trih! trih!maledetto. Ma che fare? Come riprendere Grillino che saltava di qua e di làdaquel grillo che era?

Nel palazzo reale non si dormiva più da una settimana; tuttiavevano perduto la testa; parevano tanti matti:

- Accidempoli a Grillino!

Quella vitaccia non poteva durare. Il Re venne a patti:

- Grillinoti dò un tesoro!

- Ce l'hoMaestà.

- Grillinoti faccio barone.

- Sono qualcosa di piùMaestà.

- Che tu sei?

- Sono Reuccio.

Il Re stupì.

- E dov'è la tua corona?

- Sotto il letto di mia madre.

Il Re mandò a cercare nella casetta affumicata sotto illetto della povera donnaper vedere se era vero.

- Maestàsotto il letto c'era un cesto con de' cenci.

- Hai sentito? - disse il Re.

- Non hanno saputo cercare.

Il Re mandò di nuovoe mandò i Ministri perché cercasseromeglio.

- Maestàsotto il letto c'era un paio di ciabatte.

- Hai sentito Grillino?

- Non hanno saputo cercare.

E giorno e notte sul tetto del palazzo reale:

- Trih! Trih! Trih! Accidempoli a Grillino!

Accorse sua madre:

- GrillinoGrillinosta' zitto! Vieni giù!

Suo padre scoteva la testa:

- Grillo è nato e grillo morrà!

E se n'andò in campagna pei fatti suoi.

I Ministri dissero:

- Maestànon c'è verso; bisogna dargli la Reginotta.

Il Re piegò il capo:

- Figliuola mia; bisogna che tu sposi Grillino.

Quando riferirono a Grillino che il Re gli avrebbe dato laReginottaegli rispose con una spallucciata:

- La volevo e non me la diedero: ora me la danno e non lavoglio io.

Due salti e sparì.

La Reginotta s'ammalò. Il Re e la Regina le domandavano:

- Che ti sentifigliuola?

- Ho male al cuore. Se non sposo Grillinomuoio.

Intantodi Grillino nessuna notizia. Chi l'aveva sentitotrillare in un postochi in un altro; ma nessuno l'aveva veduto. Il trilloperò era quello di lui; si riconosceva. Guardie e soldati andavano attorno pertutto il regnochiamando:

- Grillino! 0 Grillino!

Lontanolontanosentivano:

- Trih! Trih! Trih!

- È su quella montagna.

E accorrevano. Arrivati lassùil trillo si sentiva nellapianura lontanolontano:

- È laggiù!

E scendevano a corsa. Arrivati nella pianurail trillo sisentiva tra i boschilontano lontano. Guardiesoldatidal gran camminareerano spedatinon ne potevano più.

La Reginotta diventata una larvacol fiato ai denti disse:

- Maestàvado io! Lasciatemi andar sola.

E prima andò nella casetta affumicata dei genitori diGrillino.

- Buona donnadov'è la corona di Grillino?

E a un tratto s'intese:

- Trih! Trih! È sotto il letto. Reginottascavate.

La Reginottatrovata una zappa in un cantosi mise ascavare. La corona non veniva fuori.

- Grillinosono stanca! Ho le braccia rotte.

- Trih! Trih! Reginottascavate.

La povera Reginotta riprese. Scavascavascavala coronanon veniva fuori.

- Grillinosono stanca! Mi sento morire!

- Trih! Trih! Trih! Reginottascavate!

La Reginottasfinitasi buttò per terra:

- Mi sento mancare!

E morì.

Grillino comparve; e vista la Reginotta senza vitasi mise apiangere.

- Trih! Trih! Trih! AhReginotta mia! La mala sorte vollecosì! Trih! Trih! Trih!

Prese in mano la zappadiè due soli colpie venne fuori lacorona reale; sotto di essaun tesoro non mai visto: abbacinava a guardarlo.

- Babbomammaquesto è vostro. Ora piangete Grillino.

E si stese come morto per terra. Babbo e mamma lo piangevano:

- Grillino bello mio! FiglioGrillino!

Intanto il corpo di Grillino si raccorciavasi raccorciava.

- Grillino bello mio! FiglioGrillino!

Il lamento dei genitori si sentiva per tutta la via. E ilcorpo di Grillino continuava a raggrinzarsia raggrinzarsi; non pareva più diuomo. Infatti a poco a poco egli era già ridiventato grillo nerocon legambine esilie le ali.

- Addiomamma! Addiobabbo!

Un saltoe via per l'uscio:

- Trih! Trih! Trih!

 

Grillo era nato e grillo era morto.

E noi restiamo col mantello corto.

 

 

 

La Mammadraga

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta una bambinafiglia d'un calzolaio. La madrecullandolale cantava sempre:

 

- Dormifiglia Regina!

Dormiil Reuccio arriva!

 

Il maritobattendo le suole le faceva il versoper ridere:

 

Dormiil Reuccio arriva!

Dormifiglia Regina!

 

La madredopo pochi mesimorì e il calzolaio ripresesubito moglie. Da primaparve che la matrigna volesse bene alla figliastra.Spessoaccarezzandolale diceva:

- Ora ti faccio un fratellino.

- Fratellini non ne voglio.

- Perché?

- Perché...

Passò un anno. Vedendo che non c'era nessuna speranza diavere un figliuolola matrignaindispettitacominciò a prendersela con labambina. La maltrattava senza ragionela picchiavale faceva patire la fame.Il suo babbo le voleva benema si lasciava menare pel naso da quella donna.

- Babbovostra moglie m'ha picchiato!

- Perché non la chiami mamma? Chiamala mamma.

- La mia mamma non è più qui.

- Allorafa bene a picchiartifiglia Regina!

Soleva dirle così.

Una volta la poverina era stata lasciata languire di fameun'intera giornatae la matrigna voleva che le stesse davantia guardarlamentre mangiava a due palmenti.

- Ogni bocconeuno stranguglione! - borbottò la bambina.

- Figlia di tua madrevia di qua! Non ti voglio più tra'piedi. Via di qua!

Ea pugni e a pedatela cacciò fuori di casa.

Il marito era andato a consegnare un paio di stivali a unavventore. Tornato in bottegadomandò:

- Dov'è la bambina?

- A fare il chiassola fannullona!

Viene la nottee la bambina non si vede.

- Oh Dio! Le sarà accaduto un malanno! Vado a cercarla.

- A quest'ora? Lasciamo socchiuso l'uscio di casa. Quandotornase ne va a letto.

II calzolaioche faceva sempre la volontà della moglienoninsistette. La mattina peròlevatosi per tempoil suo primo pensiero fu perla bambina.

Il letto era ancora intattoe l'uscio socchiuso.

- Ahfigliolina mia! Dove sarà mai? Vado a cercarla.

- Vuoi perdere la giornata? - disse quella donnaccia - Turesta a lavorare; vado io. Vedi com'è cattiva! Se la trovola picchio di santaragione.

E uscì fuori.

- Vicineavete visto quella bambina?

- Ieri andava di corsa laggiù laggiù. Domandatene più inlà.

- Comariavete visto ieri una bambina che correva?

- Andava di corsa laggiù laggiù. Domandatene più in là.

- Buona nonnaieri avete visto passare una bambina?

- Che bambina o bambino? Non ho visto anima viva!

- Perché rispondete con quella vociaccia e quel visacciobrutta strega? Vi ho detto forse qualcosa di male?

- Il male non l'hai dettoma l'hai fatto. Tieni!

E le buttò addosso un catino d'acqua.

Di donna che erala matrigna diventò lupa; ma lei non sen'accorgeva. Credeva di parlare e abbaiava.

La gente fuggiva al solo vederla comparire.

Torna a casa e infila l'uscio. Il marito spaventatocominciaa tirarle addosso formegambalitutto quel che gli capita sotto mano; poiafferra un bastonee giù colpi da orbo.

- Sono iomarito mio! Sono iomarito mio!

Credeva di parlare e abbaiava. Coluiche la vedeva in formadi lupa con tanto di bocca spalancataaveva paura d'esser morsicato; e perciòdava botte che rompevano le ossa.

La donnavista la mala paratascappò a gambe levate.

Per le viela gente le correva appresso con paliforconispiedi e armi d'ogni sorta.

- Dàgli! Dàgli alla lupa! Dàgli!

Tornarono addietro soltanto quando la perdettero di vista.S'era rifugiata in una tana.

E la bambina? Messasi a camminare sempre diritto davanti aségiunse all'aperta campagna. Incontrò una vecchietta.

- Bambinaperché piangi? Dove vai?

- La matrigna mi ha scacciata di casa a pugni e a pedate. Vodove mi portano i piedi; lasciatemi andare!

- Se t'incontrano i lupiti sbranano.

- La mia matrigna è assai peggio dei lupi; lasciatemiandare.

- Dormi con me questa notte; domani all'alba andrai via.

La buona vecchietta la fece entrare in casale diè damangiare e da beree la mise a letto.

La mattinaprima che partissele regalò un anellino:

- Tienlo sempre in dito; sarà la tua fortuna. Quando titrovi in qualche pericolodi': «Anellinoaiutami tu!». Ti aiuterà.

La vecchia era una Fatae l'anellino era fatato.

Poco dopo sopraggiunse la matrigna. La Fata le buttò addossoil catino d'acqua e la cambiò in lupa. Camminacamminacamminala poverabambina si smarrì in mezzo a un bosco. Cominciava a farsi buioe non si vedevafaccia di cristiano.

Dattornosi sentivano intanto gli urli delle bestie feroci.

- Ora mi mangiano viva!

La poverina piangevacol viso tra le maniseduta per terra.

Tutt'a un trattoecco un calpestìo tra le macchie liaccostoe un fiuto forte forte:

- Uh! Uh! Uh! Ohche buon odore! Uh! Uh! Uh! Ohche buonOdore di carne umana!.

Nel buio s'intravvedeva una forma di persona che andavafiutando forte forte tra le erbe e le macchie:

- Ohche buon odore! Uh! Uh!

La poverinale si accapponava la pelle. Si rannicchiòdicendo sottovoce:

- Anellinoaiutami tu!

E trattenne il fiato. Quella forma nera nera le si aggiravadattorno fiutando:

- La sento e non la trovo! Uh! Uh!

Frugava rabbiosamente tra le macchie e le erbee tornava afiutare. Una volta la bambina si sentì quel fiato grosso proprio su la facciae le si gelò il sangue per la paura.

- Anellinoaiutami tu! ·

- La sento e non la trovo! È andata via; ha lasciato quil'odore soltanto.

E il calpestìo si allontanò tra le macchie e gli alberifolti.

Fatto giornola bambina si rimise in cammino.

- Ho fameanellino; aiutami tu!

Guarda davanti a sé e scorge su l'erba una fetta di pane eun po' di cacio. Mangiabeve a una fonte e seguita a camminare. Camminacamminacamminaescì finalmente fuori dal bosco e si sentì allargare ilcuore.

La campagna era tutta verde; fiori di quafiori di là aldue lati della stradae in fondo una villa in cima a una collinettache parevaun giardino. Fatti pochi passivede sopra un albero un grand'uccello con lepiume di mille colori.

- Uccelloè questa la strada che mena lassù?

- Sìè questa.

 

Là finisce ogni dolore

Chi ci campa non ci muore.

 

- Che vuol dire?

- Va' e vedrai.

Più avanti incontra una scimmia che saltava da un alberoall'altro. Un po' impauritadomandò:

- È questa la strada che mena lassù?

Sìè questa.

 

Là finisce ogni dolore

Chi ci campa non ci muore.

 

- Che vuol dire?

- Va' e vedrai.

Davanti il cancello della villatrovò una bella signoravestita di seta e d'oro con collanebraccialettianelli d'oro e di diamanti:un bagliore.

- Ben venutabambina! T'aspettavo.

- Mi conoscete?

- Ti conosco

E nel baciarlala tastava tutta.

- Che carni fresche! Che bel boccone! Vienivieni: questa ècasa tua.

E si leccava le labbra con la lingua. La bambina entrò insospetto:

- Perché dice: Che bel boccone? Anellinoaiutami tu!

E che si vide dinanzi? Invece della bella signora una bruttamegeracon naso ricurvo che toccava il mento e per capelli tanti serpenti chesi agitavano aggrovigliandosibattendole sulle spalleavvolgendosele attornoal collo. Serpenti per braccialettiserpentelli alle dita a mo' d'anelli: e nonpiù la veste di seta e ricami d'oroma di strane pelli di bestie selvagge.

Intanto ella si trovava già dentroe colei aveva subitochiuso l'uscio a chiavistello.

Era una Mammadragache si nutriva di bambini.

Figuriamoci che cuore fece la poverina a quella vista!

- Anellinoaiutami tu!

- Uh! Uh! Che buon odore!

La Mammadraga la fiutava tuttama non poteva toccarla pervia dell'anellino e dalla rabbia si mordeva le labbra.

- Che ci hai addosso? Fammi vedere. Perché nascondi le mani?

La bambinatremantele mostrò le mani.

- Ohche brutto anello! È di rame. Te ne darò uno d'oro.

- Questo mi piace e mi basta.

La Mammadraga le voltò le spalle e la lasciò sola.

Di fuoriil palazzo della Mammadraga era bellissimo; dentroperò una speloncacon le pareti e le vòlte tutte affumicatee un puzzo dicarne bruciacchiata che ammorbava. E su per le seggiole gatti neri che facevanole fusae per terra rospi che saltellavano; e sui massi sporgentigufiappollaiati con gli occhioni luccicanti e il becco insanguinato.

- Anellinoaiutami tu!

La bambinarabbrividitasi mise a girare per tutte quellegrotte affumicatesperando di trovare una buca donde scappare. In fondo c'eraun usciodietro cui si sentivano voci allegre di bambini che facevano chiasso.Picchiò e l'uscio s'aperse da sé.

Ogni notte la Mammadraga andava a rubar bambini per farsi laprovvistae li teneva chiusi lì a fine d'ingrassarli e averli più saporitiquando doveva mangiarseli.

I bambini che non sapevano nullafacevano il chiasso. Ognigiorno ne arrivava unoduetalvolta tre e ne mancava sempre uno.

Appena videro la bambinale furono attorno:

- Come ti chiami?

- Caterina.

- Facciamo il chiasso! Fa' il chiasso con noi!

- Ahpoveretti! La Mammadraga ci mangerà!

I bambini si misero a strillare e si attaccarono ai panni dilei.

- Quando viene qui la Mammadragateniamoci forte per lemani. L'anellino ci aiuterà.

Infattia mezzogiornoentrò la Mammadraga per scegliere ilbambino da divorarsi a pranzo.

- Bambinovieni con me; ti porto dalla tua mamma.

- Anellinoaiutaci tu!

Epresi per manosi strinsero tutti attorno a Caterina.

La Mammadraga dalla rabbia si mordeva le labbrasi storcevale dita.

- Scelleratasei tu! Vuoi farmi morire di fame!

Ma non poteva toccarlaper via dell'anellino. E andò viacon la spuma alla boccaminacciando. L'anellino faceva miracoli.

- Anellinoabbiamo fameaiutaci tu!

E avevano subito da mangiare.

- Anellinovogliamo dei balocchi! Aiutaci tu!

E avevano subito dei balocchi.

- Anellinovogliamo dei dolci! Aiutaci tu!

E avevano dolci d'ogni sorta. Ora che erano avvisatiappenaentrava la Mammadragasi prendevano per la mano e si afferravano ai panni dellabambina.

- Scelleratasei tu! Vuoi farmi morire di fame!

E la Mammadraga andava viacon la spuma alla boccaminacciando. Scappare però non potevano. Una mattinala Mammadraga tornò allasua speloncaseguita da una lupa e la mise di guardia all'uscio della grottadov'erano chiusi i bambini.

Era la matrigna di Caterina. La lupa la riconobbee dissealla Mammadraga:

- Volete l'anellino? Lasciate fare a me!

- Caterinache ignorava quella trasformazioneveniva spessodavanti l'uscio a pregarla:

- Lupalupettalasciaci scappare!

- Che mi dài?

- Una bella tana e pecore e polli per pasto.

- Me li procuro da me.

- Lupalupettalasciaci scappare!

- Che mi dà!?

- Quel che tu vuoi.

- Quell'anellino.

- Questo no.

- Allora restate tutti a morire lì.

Così passarono molti mesi.

Una notte la bambina si mise a chiamare:

- Vecchina miadove tu sei?

- Eccomi.

- La lupa vuole quest'anellino per lasciarci scappare.

- Dalle quest'altro.

Le spiegò come doveva fare e disparve.

La mattina:

- Lupalupettalasciaci scappare!

- Che mi dà!?

- Quel che tu vuoi.

- Quell'anellino.

Gli altri bambini s'erano già presi per la mano e sitenevano attaccati forte ai panni della compagna.

- Tieni qui - disse Caterina.

La lupa stese la zampa e la bambina le infilò l'altroanellino in un dito.

E che accadde?

Caterina diventò lupa leie tutti gli altri bambini tantilupacchiottil'uno con la coda dell'altro fra i denti; il primo teneva fra identi la coda di Caterina.

La lupa invece ridivenne donnae la bambinalupa com'erariconobbe in lei la matrigna.

- Scelleratache m'hai fatto! Ora la Mammadraga mi mangerà!

E andò a rannicchiarsi nell'angolo più oscuro della grotta.

Venne la Mammadraga:

- Lupae questi lupacchiotti?

- Sono miei figli; li ho partoriti stanotte.

- E i bambini?

- Se li è divorati quella lì.

La Mammadraga si slanciò addosso alla donna e ne fecequattro bocconi. Intanto lupa e lupacchiotti stavano per scappar via. Si udi unurlo:

- È carne avvelenata! Muoio! Muoio!

Si voltarono e videro la Mammadraga che si rotolava per terrae dava gli ultimi tratti.

- Anellinoaiutaci tu!

Ridiventati bambinisi presero allegramente per le mani efecero un ballo attorno la Mammadraga mortasaltando e cantando:

 

- Qua finisce ogni dolore!

Chi ci campa non ci muore.

Chi c'è mortotorni in vita.

Mammadraga l'è finita!

 

Andarono a guardare nella grotta accantodov'eranoammonticchiate tutte le ossa dei bambini che la Mammadraga s'era spolpati evidero un brulichio di ossa che si ricercavanosi riunivanosi vestivano dicarneridiventavano bambini vivi.

 

Chi c'è morto torna in vita

Mammadraga l'è finita!

 

- Andate viaio debbo restar qui - disse Caterina. -Quest'anellino vi condurrà fino a casa. Anellino aiutaci tu! E vi aiuterà.

Si vide uscire dalla spelonca una fila di bambini presi permano: pareva una processione che non finiva più. I primi erano lontani unmiglioe gli ultimi appena a pochi passi dalla spelonca. Eandavano viacantando:

 

- Mammadraga l'è finita!

Mammadraga l'è finita!

 

Partiti lorola bambina stette ad aspettare. La Fata leaveva detto quel che sarebbe avvenuto.

A un trattogran rumorequasi la spelonca crollasse.

Invece la spelonca diventava un palazzo così magnificochelo stesso palazzo del Re era niente al paragone.

Venne l'uccello dalle piume di mille colori.

- Padronacomandate. Ora la padrona siete voi.

Venne la scimmiasaltellandofacendo mosse buffe:

- Padronacomandate. Ora la padrona siete voi.

E Caterina veniva servita come una Reginotta.

Passarono parecchi anni. Ella si era già fatta una bellaragazza; masola solain quel palazzo cominciava ad annoiarsi.

La Fata le aveva detto:

- Devi attendere il Reuccio di Francia. Se non vien luinonpuoi uscire di qui.

E attendevastando alla finestraguardando lontano tutti igiornise mai il Reuccio arrivasse. Una mattinaecco un uomo laggiù cheprendeva la strada della collina:

- Sarà il Reuccio.

Indossò i più begli abitisi ornò delle gioie piùbrillantie gli andò incontro in cima alla scala. Invece era un poverovecchio.

Saliva gli scalini a stentoappoggiato a un bastone.

- Chi siete? Dove andate?

- Vo pel mondo in cerca della mia figliuola. L'ho perduta datant'anni!

Lei finse di non riconoscere suo padrema dalla contentezzaaveva le lagrime agli occhi.

- Mangiatebevetee riposatevi. La vostra figliuola non èlontana di qui.

- Come losapetesignora mia?

- Lo so.

Il giorno dopoil vecchio si apprestava a partire.

- Non vo' chiudere quest'occhiprima di ritrovare la miafigliuola.

- È qui vicina. L'ho mandata a chiamare. Mangiate intantobevete; vi servo a tavola io stessa.

Poteva mai immaginare che la sua figliuola avesse quelpalazzo e fosse così straricca?

Finalmenteuna seraecco squilli di trombe e scalpitio dicavalli. Il Reuccio di Francia arrivava col séguito. Si trovava a caccia inquei dintornie visto il palazzo in cima alla collinaaveva pensato dichiedere ospitalità per quella notte. Il Reuccio era di malumore. Una zingaragli aveva predetto:

- Sposerete la figlia d'un calzolaio!

- Ti si secchi la lingua!

Eper distrarsi del brutto presagioandava a caccia tutti igiorni. Vedendo quella bella giovanerimase sbalordito.

- Principessavi saluto.

- Non sono principessaReuccio.

- Che cosa siete?

- Quel che vuole il Reuccio.

- La mia Reginottaqua la mano.

- Di là c'è mio padre; chiedete il suo consenso.

Trovatosi a faccia a faccia con quel misero vecchioilReuccio si credette burlato. Pureper curiositàgli domandò:

- Siete voi il padre di Caterina?

- Sono io.

- Io sono il Reuccio di Francia e voglio sposarla.

- Reuccionon sta bene farsi beffa d'un povero vecchio! Miafiglia è perduta e non so dove sia. La cerco invano da tant'anni.

- Che commedia è questa! - esclamò il Reucciosdegnato.

Entrò Caterina:

- Ditebuon vecchio: dopo tant'anni come riconoscereste lafigliuola?

- Ha tre nèi sotto la nuca.

- Come questi qui?

E si chinò per farglieli vedere.

- Ah! Figliuola mia! Figliuola mia!

Si gettaronopiangendol'uno tra le braccia dell'altra. IlReucciotutto contentodisse al vecchio:

- Ora manca soltanto il vostro consenso.

- E sposereste la figliuola d'un calzolaio?

Il Reuccio stupì! La zingara aveva predetto il vero.

La giovane però era così bella che non c'era Reginotta almondo da starle a paro.

Il calzolaio diventò Principee sua figlia Reginotta.

 

Dormifiglia Regina!

Dormiil Reuccio arrivai

 

Ed era arrivato davvero!

 

Fiaba dettafiaba scritta

A chi va stortaa chi va diritta.

 

 

 

Re Tuono

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta un Re che aveva un vocione così grosso eforteda poter essere udito benissimo fino a dieci miglia lontano. Quandoparlavapareva tuonasse; e per ciò gli avevano appiccicato il nomignolo di reTuono.

I Ministri e le persone di cortedovendo praticare con luitutti i giornidiventavano sordi in poco tempo; ed era una disperazione. Lapovera gente che andava a chiedere giustizia ci rimetteva un polmone per farsisentiree spesso spesso non riusciva. Gli affari correvano a rotta di collo; lagente non ne poteva più.

Macome dire al Re:

- Maestàsiete voi che fate assordire i Ministri?

Il Re credeva di parlare con lo stesso tono di voce di tuttigli altri; e quando i Ministridiventati sordinon udivano più neppure luici s'arrabbiavae li mandava via a calcifacendoli ruzzolare per le scale delpalazzo reale.

Nei primi giornicoi nuovi Ministri le cose andavano benino.Parlando con loro peròil Re s'accorgeva ch'essidi tanto in tantoportavanole maniagli orecchi per tapparseli.

- Che è mai? - domandava. - Strillo forse come unmaleducatocome un carrettiere?

- NoMaestà - rispondevano impauriti. - Soffriamo digattoni

I nuovi Ministri soffrivano sempre di gattoni per iscusa. IlRe non si capacitava di questa malattia così comune a tutti i suoi nuoviMinistri. Ealla fineaveva pensato di rimediaredandoli anticipatamente incura ai medici di palazzo. I medici li martoriavano di cataplasmiventosesalassi e altri malanni; e coloroper l'ambizione di salire alto e avere lemani in pastasopportavano zitti ogni tormento.

Il Re andava a visitarlie alzando la voce pel dubbio chequella malattia degli orecchi non li facesse sentire benedomandava:

- Come state? Come state?

Figuratevi che tuonicon quell'alzata di voce! Il palazzoreale ne tremava.

- BeneMaestà! BenissimoMaestà!

E stavano bene davveroperché erano già mezz'assorditi.

Il Re intanto credeva che gli affari del suo regnoprocedessero proprio a meraviglia. Nessuno gli chiedeva mai un'udienza; nessunoveniva mai a fargli un reclamo. Sfido io! Ognuno aveva paurae preferiva ognialtro guaio a quello di restar sordo per tutta la vita.

Un giorno si presentò al palazzo reale un contadino:

- Voglio parlare al Re.

Il Restupito di questa novitàordinò subito:

- Fatelo entrare.

Squadrando quel vecchietto mal vestitoche faceva cosa tantoinsolitail Re s'accorse ch'egli aveva due tappi di sughero negli orecchi.

- Che significano quei tappi?

- Maestàho i gattoni.

O che tutti i suoi sudditi pativano di gattoni? Insospettitodisse:

- Non me la dài a berecontadinaccio! Che significano queitappi? Parlao ti fomozzare la testa.

Tra il diventar sordo e l'aver mozzata la testail contadinoscelse il meno male.

- GraziaMaestàse volete che dica il vero.

- Grazia ti sia concessa.

E colui gli disse quel che nessuno aveva osato mal dirgli:

- Maestàcol vostro vocione fate assordire la gente.

Dapprima il Re montò in furore; non voleva credergli. In chemodo egli non s'accorgeva dei proprio vocione? Ma il contadino soggiunse:

- Tant'è veroche Vostra Maestà vien chiamato re Tuono.

Il Re fu afflittissimo di questa scoperta. Tentò di frenarla vocedi sussurrare più che pronunciare le parole; ma era inutile. Ancheparlando a quel modoil suo vocione era taleche chi stava a sentirlo nerestava intronato. E per punire i Ministri che non avevano avuto il coraggio dipalesargli la veritàli fece legare come polli e li mandò in prigione. Ilcontadinoinvecefu da lui creato unico Ministroe gli permise di tenere itappi di sughero agli orecchi. Il povero Readdolorato di quel suo difettaccionon usciva più dal palazzo realedava ordini soltanto coi gesti. Maera vitaquella? Poteva durare?

Fra le altre coseegli voleva prendere moglie per averel'ereditario della corona; ed ora si spiegava facilmente tutte le ripulsericevute dalle tante principesse da lui richieste. Le principesse non volevanoassordiree per sfuggire questo pericolo rinunziavano al benefizio di diventareRegine.

Il contadino Ministro disse un giorno:

- Maestàperché non consultate un Mago? Io sospetto che ilvostro vocione non provenga da qualche malefizio che voi avete addosso.

Il Re decise di fare un bando. E volendo andare per la piùcortagiacché il suo vocione poteva essere udito da dieci miglia lontanosalì sul tetto del palazzo reale e fece il bando da se stessoingrossando lavoce più che poteva:

- Chi saprà guarirmi dal vocioooneavrà tant'oroquanto peeesa!

E andò in giro per tutto il regnosalendo in cima allemontagnegridando da quelle alture:

- Chi saprà guarirmi dal vocioooneavrà tant'oroquanto peeesa!

In pochi giorni non ci fu angolo del regno dove il bando nonfosse conosciuto. E quei tuoni della voce del Re erano stati così forticheper un paio di settimane piovve a dirottoquasi avesse tonato davvero. Intantoi mesi passavanouno dietro all'altroe nessun Mago si presentava.

Il povero re Tuono cominciava già a disperarequando unamattina vennero ad annunziargli l'arrivo di un famoso Magovenuto da lontanipaesi; diceva di conoscere il segreto della malattia del Re e la ricetta perguarirlo.

Alla vista di quel Magocosì grasso e grosso che pareva unabotteil Re si grattò il capopensando:

- Ce ne vorrà dell'oro per costui!

Ma si strinse nelle spallepronto a qualunque sacrifizio.Avrebbe dato fin la camicia che aveva indossopur di guarire.

- Maestà - disse il Mago. - Il vostro male proviene da uncapello incantato.

Il Re si rallegrò interamente. Gua'! Si sarebbe fatto raderela testa e sarebbe finita. Il Mago doveva contentarsi d'una bella mancia; orache s'era lasciato scappar di bocca il suo segreto.

- Solamente- riprese colui - bisogna trovare e strapparequel capello a prima vista. Sbagliato una voltanon si rimedia più. E l'unicapersona al mondo che può fare il prodigio è la principessa Senza-lingua.

- O dove scovare cotesta principessa?

- In Oga Magoga. La chiamano così perché le manca lalingua. Un announ mese e un giorno e la vedrete quise Vostra Maestàmantenendo la promessami dà tant'oro quanto peso.

- Prima di fare l'esperienza?

- PrimaMaestà. Condurrò con meda ambasciatoreilvostro Ministro.

Per un momento il Re esitò:

- Se quel furbo lo canzonava? Dove riacchiapparlo? IlMinistro poteva intendersela con costui... In ogni caso- rifletté - mirifarò co' miei sudditi.

Gli piangeva il cuoreguardando la montagna d'oro che civolle per agguagliare il peso di quella botte:

- Pur di guarire!

E diede il buon viaggio al Mago e al Ministro.

Passati appena sei mesieccoti un giorno il Ministro solosolo; il Mago era sparitoe della principessa Senza-lingua né nova nénovella. S'era messa in viaggiodicevanoper farsi fare una lingua artificialenon si sapeva da chi; e nessunoda un annone aveva avuto più notizia.

- Cercate e troverete. Il destino dei Re vuole così!

Erano parole del Mago.

- Facciamo un altro bando! - esclamò il Re molto seccato. Evolendo andare per la più cortasalì di nuovo sul tetto del palazzo realeefece il bando da se stessoingrossando la Voce più che poteva:

- Chi trova la principessa Senza-liiinguaavràtant'oro quanto peeesa!

E andò in giro per tutto il regnoe poi fuori del regnoindiverse parti del mondosalendo in cima alle montagne e gridando da quellealture:

- Chi trova la principessa Senza-liiinguaavràtant'oro quanto peeesa!

E i tuoni della voce del Re furono così fortiche piovvedirotto dovunquequasi avesse tuonato davvero.

I mesi passavanouno dietro all'altroma neppure una moscarecava notizia della principessa.

Re Tuono cominciò a perdere la pazienza. Orainvece diaffliggersi e star zittourlavasbraitava. Parte dei suoi sudditi era giàassorditaparte stava per assordiree tra questi che ci sentivano male e glialtri che non ci sentivano più accadevano scene buffe chespesso spessofinivano a legnate e peggio. Il regno pareva in tumulto. Le guardie accorrevanodi qua e di là; maessendo più sorde di tuttiora davano ragione a chi avevatortoora torto a chi non c'entrava per nientee accrescevano la babilonia inluogo di dissipare i malintesi.

Aveva vogliare Tuonodi gridare alle guardie:

- Fate giustizia! Fate giustizia!

Più luigridava e più assordivano. Il regno sembrava unpaese di matti.

Un bel giornodavanti il palazzo reale comparve unciarlatano che strillava:

- Pasticche per la voce! Pasticche per la voce! Chi l'ha laperde; e chi non l'ha non l'acquista! Pasticche! Pasticche!

Re Tuonotrattandosi di vocela prese per un'offesa allasua reale maestà; e diè ordine di arrestare quell'impertinente e condurglielodinanzi.

- Che intendi dire con cotesto tuo: «Chi l'hala perde echi non l'ha non l'acquista?».

- La veritàSacra Corona. Provi e vedrà.

Il Re lo guardava fisso. Dal vestitocolui pareva un uomo;ma le fattezze del volto erano così belle e gentiliche si sarebbe detto unadonnase non avesse avuto i capelli corti.

- Chi sei? Come ti chiami?

- Mi chiamano il Senza-lingua. Ma Sua Maestà vede bene cheil nome è sbagliato; la ho e un po' lunghettaanzi... Il mio mestiere richiedecosì.

E in provasenza badare che si trovava nel palazzo reale ealla presenza del Reriprese a strillare scherzosamentecome in piazza:

- Pasticche per la voce! Pasticche per la voce! Chi l'halaperde; e chi non l'ha non l'acquista! Pasticche! Pasticche!

Il Rediventato di buon umoresi mise a ridere.

- Da qua; voglio provare.

Ne prese una e la mise in bocca.

O che fu? Un tocca e sana? Il vocione del Re aveva calato di

metà.

Va' a trattenere re Tuono! Si buttò sulle pasticche come ungalletto al becchime; e mangiamangiamangia... le inghiottiva mal masticatecol pericolo di strozzarsi... mangiamangiamangia... le finì tutte in pochiistanti.

Parlòe il suo vocione parve sparito sottoterra. Re Tuononon era più re Tuonocon quella vocina così fievole che si poteva udire amala pena. Per caprine le parolebisognava accostargli l'orecchio alle labbrae farvi coppo attorno con le mani.

- Meglio così!

Dalla contentezzail Re ordinò che si facessero grandifeste per tutto il regnocon giuochicuccagne e fontane di vino schietto.

- Che cosa vuoi? - disse a quell'uomo. - Chiedi e avrai.

- Colazionepranzo e cena tutti i giornie nel palazzoreale una stanza dove non deve entrare neppure il Re.

- Così poco? Ti sia concesso!

Avendo ora la vocina flebile flebileil Re s'infastidiva disentir parlare fin con la voce ordinaria.

- Perché urlate? - rimproverava a tutti - Non sono micasordo!

Star due minuti ad ascoltarlo era proprio uno sfinimento;ognuno si sentiva mancare il fiato. Col praticare con lui e col doversi sforzarea parlar pianoin breve tempotutto il personale di palazzodai Ministro allosguatterosi ridusse effettivamente senza voce. E mentredopo la guarigionedel Regli orecchi guastati dal suo vocione andavano guarendo senza bisogno dimedicamentile vocie per riguardo del Ree per adulazione e poi percapriccio di modacominciarono ad abbassarsiad abbassarsi; e quello che pocoprima era un paese di sordiora poteva dirsi proprio il paese degli sfiatati.

Soltanto l'uomo delle pasticcheche mangiava a Ufo e abitavanel palazzo realesoltanto lui udiva il Re senza bisogno di accostarglil'orecchio alle labbra né farvi coppo con le manie poteva parlare con luisenza abbassare il tono della voce.

Come andava questa faccenda? Sua Maestà non gli aveva dettomaicome agli altri: «Perché urlate? Non sono mica sordo!». Eppure colui gliparlava sempre con la voce naturale ch'era un po' strillante. Aveva dunque lalingua fatta diversa dagli altri?

La curiosità della gente si accrebbe il giorno che ilvenditor di pasticche andò in furiaperché uno gli aveva detto per chiasso:

- Mostrami la tua lingua! Vo' vedere com'è fatta.

Non c'era niente di male in queste parole; ma coluiinfuriatopestando i piedi e piangendoera andato a chiudersi nella sua cameradel palazzo reale e non voleva uscirne piùperché nessuno potesse piùdirgli:

- Mostrami quella tua lingua! Vo' vedere com'è fatta.

Il Ministro venne a parlargli in nome del Re:

- Perché ti arrabbi? Vogliono vedere la tua lingua? E tumostraglielasciocco! Così!

E fece l'atto. L'altrosbadatamentelo imitò; ed ecco lalingua scappargli di boccacadere per terra e farsi in mille pezzi quasi fossestata di terracotta.

Il Ministro rimase! Poi si diè un gran colpo alla fronteecorse subito dal Re:

- MaestàMaestàla principessa Senza-lingua! Oggi sicompiono precisamente l'annoil mese e il giorno.

Il palazzo reale fu a un tratto sossopra. La gente affollatadietro l'uscio voleva entrare in quella camera e vedere la PrincipessaSenza-lingua. Invano il Re diceva:

- Non può entrarvi nessunoneppur io; ho dato la miaparola.

Chi lo sentiva? Lo vedevano gesticolare con le braccia emuovere le labbraquasi fingesse di parlare. Il Ministro accostò l'orecchioalla bocca del Refacendo coppo con le mani; ma il Reinfuriatocon unospintone lo sbatacchiò addosso alla folla.

Per fortunain quel punto l'uscio della camera s'aperseetutti stupirono alla vista del gran mucchio d'oro sovra cui stava comodamentesdraiata una bellissima giovanevestita di broccatoornata di perle ediamanticon le bionde trecce sciolte su per le spallela faccia appoggiata auna manoe un gran ventaglio nell'altra. Si faceva vento tranquillamente.

Il mucchio d'oro era proprio lo stesso regalato dal Re alMagogrosso quanto una botte.

Il Rein un balenosi gettò ai piedi della principessa egli posò la fronte su le ginocchia. Ella lasciò il ventagliostese la manogli ficcò un dito tra i capelli e diè uno strappo. Il capello incantato feceuna fiammata e le svaporò fra le dita.

- Grazieprincipessa Senza-lingua! Graziemia Regina! -disse il Re col più bel suono di voceche nessuno avesse mai udito.

- Graziere Tuonomio signore e mio Re!

Insieme con l'incanto dell'uno era sparito l'incantodell'altra. La principessa aveva acquistata la linguacome le aveva predetto ilMagoadattandole quella artificiale cadutale poco prima per terra.

- Il vostro destino voleva così! - disse il Ministro. -Dovevate essere sposi. E ora posso andarmene.

- Perché mai? Perché?

Il Re non finì di dire queste paroleche il Ministrodiventato un nanino vispo visposi ficcòcome un topolinotra il mucchiodell'oro e sparì. Era un servitore delle Fate.

Contenti come Pasqueil Re e la Principessa si sposaronocon feste e divertimenti d'ogni sorta.

Il Re perdonò ai Ministrili fece scarcerare e li rimise incarica. Non correvano più pericolo d'assordire.

- Faranno sempre i sordi! Vedrete - prognosticò la gente.

E il prognostico non fallì.

 

Maturo è il fruttosecca la foglia;

Dite la vostrachi più n'ha voglia.

 

 

 

Fata Fiore

 

 

 

 

 

C'era una volta due sorelle rimaste orfane sin dall'infanzia:la maggiore bella quanto il Solediritta come un fusocon una gran chioma chepareva d'oro; la minore così cosìné bella né bruttapiccinamagrolina ezoppina da un piede. Per la sorellanon aveva nome: era semplicemente lazoppina.

La vecchia nonnada cui erano state raccolte in casanonavrebbe voluto che costei la chiamasse sempre con quel nomignolo:

- Che colpa n'hala poverina? È mancanza di caritàrammentarle il suo difetto.

- O se è vero ch'ella è zoppina! Non me lo invento io.

E la cattiva ridevaper giunta.

Si fosse pure contentata di maltrattarla con quel nomignolosoltanto! Non sarebbe stato nienteperché la zoppina non se ne facevacome senon dicesse a lei. Il peggio era che la maltrattava anche coi fattiquasi nonfosse stata dello stesso suo sanguema una serva.

- Zoppinafa' questo... Zoppinafa' quello!... Zoppinavien qua! Zoppinava' là.

Non le dava requie un momento; ed ella intanto se ne stava inpanciolle per non sciuparsi le belle manineo pure allo specchio o allafinestraquantunque la nonna spesso la sgridasse:

- Chi aspetti lìa quella finestra?

- Aspetto il Reuccio

Né lo diceva per chiasso. Si era messa in testa che ilReucciopassando per la stradadovesse restare incantato dalle bellezze di làe farla Reginotta. E la mattinaquando il Reuccio andava a cacciaseguito datanti cavalierise lo divorava con gli occhie si sporgeva fuori dallafinestrafacendosi quasi sventolare la sua gran chioma d'oro per attirarne glisguardi. II Reuccio non le badavanon si voltava; passava trottandocon grandispetto di lei. Ella però non si dava per vinta.

- Guarderà domani. Se mi guardaè fatta: sarò Reginotta.

E sfogava la sua rabbia contro la sorella. Arrivava fino apicchiarlase le pareva di non esser servita a puntinospecialmente nei giorniche il Reuccio passava di corsaproprio quando ella credeva di essersi fattapiù bellalavatapettinatae con la biancheria di bucato.

Un giornoche s'era alzata dal letto di malumore più delsolitoaveva gridato sgarbatamente:

- Zoppinava' a comprarmi il latte: e sia frescozoppina!

La povera zoppina era scesa in istradaeciampicandos'avviava verso la bottega del lattaioquandodalla svolta della cantonataecco sbucare il Reuccio e il séguito a cavallodi carriera. Ebbe tanta paurache inciampòe cadde. Al grido di leiil Reuccio poté frenare a tempo il suocavallo e salvarle la vita. Scese subito di sellal'aiutò a rizzarsi in piedile domandò premurosamente se s'era fatta malee vedendo che zoppicavacredette che fosse per effetto della caduta. Allora le porse il bracciol'accompagnò dal lattaio e poi la ricondusse fino alla porta di casa.

La sorella maggiore già s'affrettava a scender le scale pernon lasciarsi sfuggire quell'occasione di farsi vedere dal Reuccio; giàborbottava le belle parole di ringraziamento da dirglie già pensava algraziosissimo inchino da fargli; ma quand'ella arrivò giùil Reuccio erarimontato a cavalloe spariva in fondo alla strada.

Figuriamoci che stizza! Quel giorno parve ch'ella avesse undiavolo per capello: niente la contentòniente le andò a verso:

- Zoppina! Zoppinaccia! Brutta zoppaccia!

La poverina si mise a piangere.

- Fa' la volontà di Dio - le disse la nonna. - Dio tiaiuterà.

La nonnach'era molto vecchiasi ridusse in fin di vita.Prima di moriresi rivolse alla sorella maggiore:

- Ti raccomando quella poverina. Ora che non ci sarò piùionon esser con lei sempre cattiva come pel passato. È buonaaffettuosa; nonsi merita punto i maltrattamenti che tu le fai. E non la chiamare più zoppina!

- O se è vero ch'ella è zoppina - fu la risposta di lei. -Non me lo invento io.

- Senti: verrà un giorno che vorresti esser tu la zoppina!

E la vecchia morì.

Rimaste solela sorella maggiore si tenne per padronaaddirittura. Se la nonna le avesse raccomandato di far peggio di primaquellacattiva ragazza non avrebbe potuto far peggio. La povera zoppina piangeva giornoe notte.

Colei sfoggiava abiti di setacollanee anellie orecchinidi brillanti: la zoppinadoveva indossare un vestituccio di stoffa scadentescurosbricio sbricioquasi da monachina. E tutti i giorni:

- Zoppina! Zoppinaccia! Zoppina del diavolo!

La poverina faceva la volontàdi Diocome le aveva dettola nonna; ma la nottenella sua misera camerettasi metteva a piangerezittazitta; e pregava:

- Nonnina mianonnina miapensateci voi per me!

Una mattinanel far le scale per andare a comprare il lattescòrse su uno scalino qualcosa che non distingueva bene che fosse. Si chinòlo raccolsee vide ch'era un fiorellino tutto scalpicciato e sgualcito; unfiorellino rossoche mandava un odore di paradiso. Lo ripulìgli riaggiustòle foglioline e se lo mise in petto. Tornata a casalo ripose in un vasetto conl'acquasu un tavolino della sua camerae di tanto in tanto andava aosservarlo. In quel vasetto con l'acquail fiorellino parve risuscitatoeriempiva la camera del suo profumo.

Quando la sorella la sgridava: - Zoppina! Zoppinaccia...Zoppaccia del diavolo! - ellasenza sapere perchéandava a guardare ilfiorellinoe si sentiva consolata.

Verso mezzanotteentrata in lettola poverina s'era messa apiangere:

- Nonnina mianonnina miapensateci voi per me!

E sentì una voce flebile flebiledolce dolceche diceva:

- Ci penserò io! Ci penserò io!

Ebbe paura e accese il lume. Nella camera non c'era nessuno:né quella era la voce della sua nonna.

- Mi sarà parso!

Spense il lume e si addormentò.

Così più notti di seguito; ella però oramai più nonprovava paura a quella voce flebile flebiledolce dolceche pareva venisse dalontano. Anziuna nottefattosi animoosò domandare:

- In nome del Signorechi sei?... Sei tu la mia nonnina?

Passato unmeseil fiore era sempre così vegeto e cosìfresco nel vasettodov'ella rimutava l'acqua due volte al giornoda potersicredere spiccato allora allora dalla pianta.

La zoppina n'era meravigliatae cominciò a sospettare cheesso fosse incantatoe che fosse sua quella voce da lei udita ogni notte.

Perciò la notte appressoappena sentì dire:

- Ci penserò io - subito gli domandò:

- In nome del Signoretu chi sei?

Ma non ebbe risposta.

La mattina si svegliacerca tastoni la vestee al tatto siaccorge che la stoffa era un'altra. Apre gli scuretti della finestrae chevede? Su la seggiola a piè del lettovede steso un vestito nuovocosì bellocosì riccoch'ella rimase un pezzetto a guardarlo a bocca apertasenza osareneppur di toccarlo.

Indossò un vestito smessocon le maniche sdrucite aigomitie quello lo nascose nell'armadio per via della sorella.

Il giorno dipoi si svegliacerca tastoni la vestee altatto si accorge che la stoffa era un'altra. Apre gli scuretti della finestraeche vede? Su la seggiolaa piè del lettovede steso un secondo vestito nuovopiù bello e più ricco di quell'altro ripostoun vestito da Regina.

Frugò nel cassettonetrovò un vestituccio smesso ma piùsdrucito e più stinto del primoe lo indossò; nascose quell'altronell'armadioper via della sorella.

La sorella che non le aveva badato il giorno avantivedendola così cenciosacominciò a sgridarla:

- Zoppina sudiciona! E dell'altro vestito che n'hai fatto?

- L'ho dato a lavare.

Si contentò della risposta e si mise alla finestra.

Da qualche tempo aveva notato che il Reucciopassandoalzava gli occhi verso la facciata della casa lorocome sé cercasse qualchepersona che non c'era: scorreva con lo sguardo tutte le finestree abbassavagli occhi scontento.

- Maforse deve fingere di non vedermiper timore del Resuo padre! - ella pensava.

E insuperbiva più che mai.

Quel giornoil Reucciopassandoalzò secondo il solitogli occhi alle finestrecome se cercasse qualche persona che non c'eraeabbassatili scontentospronò il cavallo e tirò via.

Quel giorno ella fu così cattiva con la zoppinache lapoveretta piangendo si mise a gridare:

- Ah nonninanonninavi siete scordata di me!

E la sorellainviperita:

- Te la do io la nonnina!

E picchia. ....

- Te la do io la nonnina!

E picchia.

Le lasciò le lividure.

La nottela zoppina:

- Nonnina mianonnina miapensateci voi per me.

- Ci penserò io! Ci penserò io!

Svegliatasicerca tastoni la vestee al tatto si accorgeche la stoffa era un'altra. Apre gli scuretti della finestrae che vede? Su laseggiolaa piè del lettovede steso un terzo vestito nuovo tutto ricamatod'orotempestato di pietre preziose: neppur la Regina doveva averne uno pari.

Questa volta era inutile frugare nel cassettone; ella sapevabenissimo che non aveva altri abiti smessi.

- Come fareper via della sorella?

Non sapeva risolversi ad indossare uno di quelli: intanto lasorelladi làgridava:

- Zoppina! Zoppinaccia! Non senti dunquezoppina deldiavolo!

E le si rovesciò in camerafuribonda.

Visto quell'abito da Reginarimase di sasso.

- Di chi è?

- Non lo so.

- Chi te l'ha dato?

- Non lo so.

- E tu perché in sottana?

- Non ho più vestiti da indossare: me l'han portati via.

- Zoppaccianon me la dài ad intendere.

Per acchetare la sorellala poverinamezzo sbalorditaleraccontò tutto: del fiorellinodella voce udita di nottedegli altri vestititrovati su la seggiola: e glieli fece vedere.

Colei non voleva crederle.

- Zoppaccianon me la dài ad intendere.

Prese i vestiti e il vasetto col fiore e li portò in camerasua. La zoppina dovette indossare un abito vecchio della sorella. Ci nuotavadentro e pareva più buffa che non era.

- Vo' provar io! - disse la sorella maggiore.

E la notte appressospento il lumecominciò a dire:

- Nonnina mianonnina miapensateci voi per me!

- Ci penserò io! Ci penserò io!

Rimase stupita.

- Dunque la zoppina non aveva mentito!

E la mattinasvegliatasicercò tastoni la veste; al tastos'accorse che la stoffa non era quella. Aperse gli scuretti della finestraeche vide? Su una seggiolaa piè del lettovide steso un vestito vecchiodicanavacciotutto sbrendoli e frittelle. E nell'armadiodov'ella aveva ripostii tre bei vestitine mancava unoil migliore.

- Ahzoppaccia del diavolo! Sei stata tu!

E picchia e ripicchia! Le lasciò le lividure.

Però volle ritentare:

- Nonnina mianonnina miapensateci voi per me!

- Ci penserò io! Ci penserò io!

Smaniava che si facesse giornoper vedere se le accadevacome la mattina avanti. Le accadde peggio. Su la seggiola a piè del lettotrovò steso un vestito fatto di scorze di albero imputridite. E dall'armadio nemancava un altro di quelli ripostiviil migliore.

- Ahzoppaccia del diavolo! Sei stata tu! Sei stata tu!

E picchia e ripicchia! Le lasciò le lividure

Caparbiavolle ritentare; ma la mattina seguentenon solonon trovò nulla né sulla seggiola né nell'armadioma fin il fiorellino rossoera sparito dal vasettolasciando nella camera un puzzo che ammorbava.

- Ahzoppaccia del diavolo! Sei stata tu!

E picchia e ripicchia! Le lasciò le lividure.

Il giorno dopo si sparse la notizia ch'era stato scoperto unfurto nella guardaroba della Regina: mancavano tre abiti di galaabiti di unvalore inestimabile; tutta la corte era sossopra; il Re e la Regina su le furie;i Ministri spaventati della collera reale perdevano la testa.

Il Re li aveva radunati a consiglio.

- Se fra tre giorni non mi trovate il ladrovi faccioimpiccare tutti in fila!

Eran passati due giornie i poveri Ministri si tastavano ilcollo. Del ladronessuna notizia.

E il Re:

- Domani all'albavi farò impiccare tutti in fila!

I Ministri pensarono di mettere una sentinella a ogni porta efar perquisire tutte le case. Le guardie rovistavano da per tuttoma nontrovavano niente. Andate in casa delle due sorellecercaricercafrugarifruga non trovarono niente neppur lì. La sorella maggiore intantodinascosto dalle guardieborbottava nell'orecchio della zoppina:

- Zoppaccia ladra! Zoppaccia ladra! Che tradimento volevifarmi!

La povera zoppinaatterrita di veder tanti brutti ceffinonrispondeva nulla. E pregava dentro di sé:

- Nonnina miaaiutateci voi! Aiutateci voi!

Pregava anche per quell'altra.

Una guardiapiù sospettosa dei compagnitastata lamaterassa del letto della sorella maggioredisse:

- Scucite qui.

Scuciono e fra la lana eccoti gli abiti regali di galaproprio quelli trovati dalla zoppina su la seggiola in camera sua.

- La ladra è lei! La ladra è lei! - urlava la sorellamaggiore.

Ma le guardie le acciuffarono tutte e duee le condussero incarcereLa zoppina neppure piangeva; guardava attornostupefatta. L'altrapareva impazzita:

- La ladra è lei! La ladra è lei!

Nella prigionele chiusero in due stanze separate.

La zoppinaal buiopregava a mani giunte:

- Ah nonninanonninapensateci voi per me!

- Ci penserò io! Ci penserò io!

Si volse dalla parte d'onde la voce veniva enel buiovideil fiorellino rosso che luccicava come un pezzettino di carbone acceso. A poco apoco quel luccichio crebbecrebbeilluminò tutta la stanzae fra losplendore comparve una bellissima donna che non toccava terra coi piediepareva fatta tutta di lucecarni e vestiti.

- Sono fata Fiore; mi chiamano così perché un mese soncreatura vivente e un mese fiore: è il mio destino. Tu mi hai raccoltomi hairipulitomi hai rimutata l'acqua due volte al giornomi hai salvato dalpenare. Ora son qua io per te!

E detto questoscomparve.

La mattina il Reuccionel punto di montar a cavallovideper terra un fiorellino rosso; uno degli scudieri stava per metterci il piedesopra.

- Bada! Bada!

Se lo fece raccoglieree rimase incantato del gratissimoodore che il fiore mandava; un odore di paradiso.

Subito gli venne in mente la zoppinaa cui aveva moltopensato dal giorno che la raccattò da terra come quel fiore: gli era parsatanto buonatanto gentilequantunque non bella. Non l'aveva più riveduta; enon s'era mai saputo spiegare perché pensasse così spesso a lei avendola vistauna sola volta. Si mise il fiore all'occhielloe quando tornò a palazzoloripose in un vasetto con l'acquain camera sua; lo chiamò il Fiore dellazoppina.

La nottesul punto di addormentarsia un tratto ode: - Psi!Psi! Psi! Psi!

Accese subito il lumeguardò attorno stupito; non c'eranessuno.

Poco dopodi nuovo:

- Psi! Psi! Psi! Psi!

- Chi sei? Che cosa vuoi?

- Sono fata Fiore! Ascolta bene quel che ti dirò: ma nonaccendere il lume.

E fata Fiore gli raccontò la dolorosa storia della zoppina.

Verso la fine il Reuccio piangeva.

Non attese che fosse giornoe corse dal Re suo padre. Rifeceil racconto della Fata e poi si gettò al piedi del Re:

- Maestàfatemi sposare questa zoppina! La Reginottadev'esser lei.

Il Re non disse di sì né di no. Ma quando gli parve l'oradiede ordine:

- Conducete qui le due ladre.

Le guardie andarono prima alla prigione della sorellamaggiore. Tutta arruffata e sconvolta non sembrava più lei; pareva una Strega.L'ammanettarono e la introdussero al cospetto del Re.

Aperto l'uscio della prigione dov'era rinchiusa la zoppinale guardie si arrestarono meravigliate su la soglia. La nera stanzaccia s'eratrasformata in un magnifico giardino fioritoe la zoppinacosì bella da nonriconoscersicon indosso un abito sfarzosissimocoglieva fiori e ne facevatanti bei mazzi.

- Questo pel Requesto per la Reginae questo pel Reuccioche sospira.

Subito il Re e la corte andarono alla prigione per condur viala zoppina con tutti gli onori di Reginotta.

La sorella maggioreappena la vidediede in ismanie efurori:

- Ah! Zoppina ladra! Mi hai rubato anche il Reuccio! Possa tumorire di mala mortezoppaccia ladra!

Invece morì lei di mala morte; perché il Re non volle farlegraziavedendola così cattiva fino all'ultimo contro la sua buona sorellacheimplorava per essa il perdono reale.

Diventata Reginottala zoppina che per virtù di fata Fiorenon era più zoppinaa ricordo del suo passatovolle esser chiamata sempre aquel modo; anziquando compariva in pubblicoaffettava con grazia di zoppicareun tantino.

 

 

 

Trottolina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta un vecchio tornitore che faceva trottoled'ogni forma e d'ogni grandezza.

Quand'era la stagione delle trottolei ragazzi siaffollavano nella sua bottega:

- Tornitoremi fate una trottola?

- Piccola o grande? Piatta o col cocuzzolo?

Secondo che la volevano piccola o grandepiatta o colcocuzzoloegli adattava subito un pezzetto di legno al suo tornioe con unpiede sul pedale e in mano lo scalpellosi metteva a lavorare lesto lestobrontolando:

 

- Trottolinapiatta piatta

Gira gira e fa la matta!

 

Oppure:

 

- Trottolone fatto a pera

Gira gira fino a sera!

 

E continuava a brontolare cosìfino a che la trottola nonera bell'e finita. Quel brontolìo era lo spasso dei ragazziche spesso glifacevano il verso:

 

- Trottolinapiatta piatta

Gira gira e fa la matta!

Trottolone fatto a pera

Gira gira fino a sera!

 

- Ecco qua. Due solditre soldi.

E i ragazzi andavano via contenti come pasque.

Un giorno passò davanti a quella bottega il Reuccioe sifermò a guardare.

Il tornitore stava per terminare una bella trottola ebrontolavaal suo solitosenza levar gli occhi dal lavoro.

- Tornitorefatemi una trottola anche per me.

- Piccola o grande? Piatta o col cocuzzolo?

- Piccina piccina.

- Sarà servito. Vedrà che trottolina. Parlerà.

E subito con un piede sul pedale e in mano lo scalpellosimise a lavorare lesto lestobrontolando:

 

- Trottolina piccinina

Pel Reuccio gira gira.

 

Trattandosi del Reuccioil tornitore andò egli stesso dalfabbro ferraio per far mettere alla trottolina un picciuolo di ferro ben limatoe lisciatoe il giorno appresso la portò al palazzo reale: si attendeva ungrosso regalo. La trottolina gli era riuscita una bellezza. Prima di andare aconsegnarlal'aveva provata. Girandofaceva un brisìo lieve lieve; non cheparlarepareva cantasse. Dicendo al Reuccio: La trottolina parleràil poverotornitore intendeva dire appunto di quel brusìo.

Il Reuccio però non l'aveva capita così.

E visto che la trottola non parlavasi mise a strillareapestare i piedi:

- Voglio la trottolina che parla! Voglio la trottolina cheparla!

Accorsero il Re e la Regina. Il tornitore spiegando la cosatremava come una foglia. Intanto il Reuccio continuava a strillarea pestare ipiedi:

- Voglio la trottolina che parla!

Disse il Re al tornitore:

- Tu hai promesso di fare al Reuccio una trottolina cheparlae bisogna che parli. Se domani non gli porti la trottolina parlanteguaia te!

Il tornitore andò via più morto che vivo.

- Ah! Poverino a me! Come fare una trottolina che parlidavvero?

Quella notte non chiuse occhiopiangendo e lamentandosi:Poverino a me! La mattina venne un servo del palazzo reale:

- Sua Maestà vuole la trottolina che parla.

A un tratto il tornitore ebbe un'idea; e tutto allegro andòdal Re:

- Maestàla trottolina l'ho fatta io; ma la lingua gliel'hafatta il fabbro ferraio; se la trottolina non parlaè colpa sua.

Il Re si capacitò.

- Aspetta lì; mandiamo a chiamare il fabbro ferraio.

E il fabbro ferraio venne:

- Maestàche comanda?

- La trottolina del Reuccio dovrebbe parlare; il tornitorel'ha fatta e tu gli hai messo la lingua di ferro; gliel'hai messa male. Sedomani non mi riporti la trottolina parlanteguai a te!

Quel furbo rispose:

- È veroMaestà; io le ho messo la linguama la boccagliel'ha fatta lui; se la trottolina non parlaè colpa di chi non ha saputofarle bene la bocca.

- Ah! Ve la mandate dall'uno all'altro?... O domaniriporterete qui la trottolina parlanteo guai a voi.

Andarono via tutti e due più morti che vivi.

- Ahpoverini noi! Come fare una trottolina che parlidavvero?

- Andiamo da un Mago - disse il fabbro ferralo. - Chi sa?Potrà farcela lui.

E andarono subito dal Mago.

Giusto egli aveva per le mani una bambolinuccia che parlava.

- Date qua la trottolina.

V'incollò la bambola sopraavvolse attorno al picciuolo illaccettoe fece girare la trottola per prova.

La trottola girava e la bambola parlava:

- Buon giornoReuccio! Buona seraReuccio!

Il Reucciocom'ebbe quella trottolinasi mise a saltaredalla gioia.

Il Re fece al tornitore e al fabbro ferraio un magnificoregaloed essi ne portarono una buona parte al Mago.

- Tenete tutto per voi; io non voglio nulla.

Il Reuccio passava le giornate facendo girare la trottola. Ela trottola:

- BuOn giornoReuccio! Buona seraReuccio!

Alla bambola egli aveva messo nome Trottolinae non volevafare il chiasso altro che con lei.

Crebbee intanto non cessava mai di giocare a trottola; ilRe n'era seccato.

- Non sei più un ragazzo. Ora devi prender moglie.

- Sposerò Trottolina.

Il Re montò sulle furie; prese la trottola e la sbatacchiòsul pavimento. La bambola schizzò da una parte e la trottolinaspaccata in duepezzidall'altra.

- Ecco come sposerai Trottolina!

Il Reuccio stette zitto e andò a chiudersi in camera sua.Non voleva più uscirne. Quand'era solo piangeva:

- AhTrottolina mia! Non puoi dirmi più: Buon giornoReuccio! Buona sera Reuccio!

Si ammalò. Aveva una febbre lentadimagrava dimagrava; e imedici non sapevano dire che male fosse.

Il Re e la Regina erano disperati: si vedevano morirelentamente il Reuccio sotto gli occhisenza potergli dare nessuno aiuto.

Uno dei medici domandò:

- Ha avuto qualche grave dispiacere il Reuccio?

- No.

Il Re e la Regina non potevano mica immaginare che il Reucciomorisse di languore per Trottolina.

Ma il dottore insistette:

- Reucciovi hanno dato qualche gran dispiacere?

- Mi hanno rotto Trottolina.

Allora il Re mandò a chiamare il tornitore e il fabbroferraio:

- Fatemi pel Reuccio un'altra trottola parlante.

Maestà non sappiamo più farla.

- O domani l'avrò quio guai a voi!

Quei due andarono via più morti che vivi.

- Ahpoverini a noi! Chi sa se il Mago cene farà un'altra?

E corsero da lui.

- Voitornitorefate la trottola; voifabbro ferraioappiccicatele il picciuolo di ferro ben limato e lisciatoe poi tornate da me.

Il Reuccio così riebbe la trottolina parlante e si mise afarla girare.

La trottola giravae la bambola parlava:

- Buon giornoReuccio! Buona seraReuccio!

Ed ora aggiungeva:

- Quando ci sposeremoReuccio? Quando ci sposeremo?

Con meraviglia di tuttitrottola e bambola crescevano digiorno in giornoquasi fossero vivi. Ma Trottolina parlava soltanto quando latrottola girava

Che potevano fare il Re e la Regina? Visto questo prodigio diTrottolina che crescevae purché il Reuccio non tornasse ad ammalarsiacconsentirono che la sposasse. Tanto era un matrimonio per chiasso.

Pei primi giorni passò. Il Reuccio faceva girare latrottolae Trottolina parlava. La trottola girava per dei quarti d'orasenzafermarsi; correva di qua e di làe il Reuccio le correva dietro:

- FermatiTrottolina!

Trottolina si fermavama allora non parlava più. Girandogirandosembrava proprio viva. Fermataera una bambola di legno e nientealtro.

Gli venne a noia. La buttò in un angolo della camera e nonla cercò più.

La nottesentiva un lamento:

- AhReuccioReucciocome m'hai abbandonata!

Saltava da lettocredendo che Trottolina fosse giàdiventata persona viva: andava a guardarla; niente. Trottolina era tuttora dilegno e stava appoggiata contro il muro in quell'angolo dove l'aveva buttata.

Ogni notte però quel lamento:

- AhReuccioReucciocome m'hai abbandonata!

Il Reuccio non poteva più dormire. Ordinò che glielalevassero di camera e la portassero in cantina. Non valse.

Tutte le nottidalla cantina sentiva fino in camera sua quellamentio.

- Non vuoi chetarti? Aspetta: ti concio io!

Scese in cantina con un'accettaper fare in pezzi trottola eTrottolina; ma alla vista di leiche era così bella e graziosasentìintenerirsi il cuore.

Era cresciuta tanto che pareva una bella ragazza di diciottoanni; e oraper far girare la trottola ci voleva molta forza. Non si trattavapiù d'una trottolinama d'un trottolonee invece d'un laccettooccorrevaproprio una fune.

I genitori del Reuccio erano morti; il Re era lui. Mancava laRegina; e i Ministri gli dissero:

- Maestàil matrimonio con Trottolina non regge: sposateuna donna vera.

Il Re si lasciò persuadere e risolvette di sposare laReginotta di Spagna.

Il giorno delle nozzela Reginotta di Spagna si sentì maletutt'a un tratto e in poco d'ora morì.

Il Re se n'accorò. La notteil solito lamentìo:

- AhReuccioReucciocome m'hai abbandonata!

- Non sono più Reuccio. Aspetta: ti concio io!

Scese in cantinaprese delle fascinele messe torno tornoalla trottola e a Trottolina e vi appiccò il fuoco. Una vampata; ma la trottolain fiamme cominciò a girare a giraremettendo fuoco a ogni cosa. Saliva lescalecorreva per tutte le stanze del palazzo realee dove passava attaccavail fuoco. In un attimo il palazzo fu in fiamme.

La trottola girava e Trottolina parlava:

- Buon giornoMaestà! Buona notteMaestà!

Il Re le correva dietrotentando di spegnere le fiamme:

- FermatiTrottolina!

Ma si bruciacchiava le mani inutilmente: Trottolina non sifermava; e sembrava lo canzonasse col suo:

- Buon giornoMaestà! Buona notteMaestà!

Attorno al palazzo c'era una gran follaaccorsa per spegnerel'incendio. Chi attingeva acquachi portava le secchiechi le vuotava; faticasprecata: più acqua buttavano e più le fiamme prendevano forza; salivano finoal cielo. Dal gran fumo non ci si vedeva. E tutti piangevano il Re che dovevaessere carbonizzato a quell'orainsieme coi Ministri e le persone di corte.

Quando fu giornoinvece che si vide? Nel luogo del palazzoreale c'era un magnifico giardinoe più in là un altro palazzo realeal cuiconfronto quello bruciato sarebbe parso una bicocca.

E pei viali del giardino il Re e Trottolinadiventatapersona vivadi carne e d'ossache presi per mano passeggiavano come se nullafosse stato. Trottolina diceva scherzando al Re:

- Buon giornoMaestà! Buona notteMaestà!

Ma non girava più; non aveva più la trottola sotto i piedi.

Ora che Trottolina non era di legnoil Re la sposò perdavvero.

 

E furono marito e moglie;

A loro il fruttoe a noi le foglie.

 

 

 

Mastro Acconcia-e-guasta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta un vecchio falegnameche aveva unabotteguccia e pochi arnesi del suo mestiere: una segaun succhiellounapiallauno scalpelloun martellouna tanagliail pancone e nient'altro.

Lavorava di grossoe ordinariamente gli davano ad acconciarecose vecchie; per questo gli avevano appiccicato il nomignolo di MastroAcconcia-e-guasta. Guastava un uscio e rimediava una cassaun tavolinoduesportellisecondo la richiesta. La colla e i chiodi dovevano comprarli gliavventori.

- Perchémastro Acconcia-e-guasta?

- Perché sì.

I chiodi che avanzavano li rendevala colla no; la mettevada parte.

- Perchémastro Acconcia-e-guasta?

- Perché sì.

Era la sua risposta; e tirava su una presa di tabacco.

Guadagnava pochino: intanto se la scialava meglio di unprincipe. Di dove li cavava tanti quattrini?

La mattina andava al mercato per far la spesa:

- Macellaioquel filetto di bue quanto costa?

- Non è per la vostra boccamastro Acconcia-e-guasta; èper la tavola del Re.

- Ho la bocca come lui l

Glielo dicevano a posta ogni volta per fargli risponderecosì. E tutti ridevano:

- Bravomastro Acconcia-e-guasta!

- Pesciaioloquello storione quanto costa?

- Non è per la vostra boccamastro Acconcia-e-guasta; èper la tavola del Re.

- Ho la bocca come lui!

E tutti ridevano:

- Bravo mastro Acconcia-e-guasta!

Comprava un monte di robacarnepesceformaggiosalameerbefruttale meglio cose.

- Chi se la mangia tutta cotesta robamastroAcconcia-e-guasta?

- Io e i miei figliuoli.

- O che avete dei figliuoli?

- Sì: SeghinaPiallinaScalpellinoMartellinoTanaglinae Succhiellino che è il minore.

E la gente rideva:

- Buon appetito a tuttimastro Acconcia-e-guasta!

Tornato a bottegariponeva in un canto la cesta con la robae si metteva a lavorare senza mai smettere fino a tardifinché vi si vedeva.

- E il desinaremastro Acconcia-e-guasta?

- Lo preparanoin cucina.

A un'ora di nottemastro Acconcia-e-guasta si chiudeva inbottega e metteva tanto di spranga alla porta.

Ed eccoacciottolìo di piattitintinnìo di bicchierirumore di argenteria e di coltelli smossiquasi lì dentro apparecchiassero unagran tavola. Epoco doporisatestrillie mastro Acconcia-e-guasta chegridava:

- Sta' buonaSeghina!... AttentoScalpellino! Tu mi rompiquella bottiglia!... Badanon conciartiTanaglinal... Sporcaccione diMartellino!... PiallinaSucchiellinoa posto le mani!

I vicinidietro la portastavano a sentirestupiti.

La mattina:

- Gran pranzoehmastro Acconcia-e-guasta? I figliuoli vifanno disperare.

- Eccoli lìcheti cheti.

E mostrava gli arnesi attaccati a una parete dellabotteguccia; ma la cesta era vuotae di quel monte di roba da mangiare nonrestava bricioloneppure le lische del pesceo i nòccioli della frutta.

I vicini non sapevano che almanaccare per scoprire il misterodi mastro Acconcia-e-guasta; e perdevano il tempo inutilmente.

Di giorno vedevano un povero vecchio che si rompeva lebraccia a lavorare fino a tardi in quel bugigattolo che pareva una tana. E tuttala roba da mangiare? E l'acciottolìo de' piattie le risae gli strilli?

Invano avean tentato più volte di far un buco alla porta perguardare dentro. Il legno sembrava mezzo fradicio; non c'era però succhielloche potesse arrivare a penetrarlo.

- Che legno è questomastro Acconcia-e-guasta!

- Legno-ricotta.

- Allora perché non ve lo mangiate?

- La ricotta non mi piace.

- Non ce la date a intenderemastro Acconcia-e-guasta!

Egli alzava le spalle e tirava su una presa di tabacco:

- Lasciatemi in pace.

La cosa giunse fino all'orecchio del Re:

- Ah! dice: Ho la bocca come lui?

E ordinò che a mastro Acconcia-e-guasta i venditori desserola peggiore roba che avevanopena la vita.

Quella mattinamastro Acconcia-e-guasta dovette rassegnarsia portar via certa carnaccia che non l'avrebbero voluta neppure i cani; pesceguastoformaggio inverminitofrutta mézza.

- Siete contentomastro Acconcia-e-guasta?

- Se son contento ionon saran contenti gli altri.

- Perché?

- Perché sì.

Il Re dava un pranzo al Ministri e al dignitari di corte.Portano in tavolae ReMinistridignitari arricciarono il naso. La carnepuzzava come una carognail formaggio camminava da sé su pei piattitantoformicolava di vermila frutta ammorbava di fracidume.

- Come mai? - urlò il Re. - Venga qui quel birbante delcuoco.

Il povero cuoco giurò e spergiurò che aveva comprato robabuona; ci aveva i testimonii. In cucinale pietanze spandevano un odore daresuscitare anche un morto.

Reministridignitari dovettero acconciarsi con un po' dipan durobagnato nell'acqua; altrimenti sarebbero morti di fame.

- Questo è un tiro di mastro Acconcia-e-guasta! - disse unodei Ministri. - Vo' andare a vedere se è vero.

Si travestì e via dal falegnameportando addosso unacassaccia vecchiaper pretesto.

- Acconciatemi questa cassamastro Acconcia-e-guasta.

- Posatela lì. Andate a comprare i chiodi e la colla.

- Colla ce n'avete tanta!

- Quella serve per me.

- Che buon odore di vivandemastro Acconcia-e-guasta!

- Sono i resti del desinare; eccoli là.

Il ministro si sentì venire l'acquolina in bocca a vedere unbel tòcco di filetto arrosto e mezzo pesce con la salsa che dicevano: Mangiamimangiami!

- 0 dove l'avete comprata questa buona roba?

- Dove si vendein mercato.

- So che c'è ordine reale di non darvi roba buona.

Mastro Acconcia-e-guasta alzò le spalle e tirò su una presadi tabacco.

Il Ministro rapportò tutto al Re. Tennero consiglio.

- Questo mastro Acconcia-e-guasta dev'essere un Mago!Leviamogli tutti gli arnesi; vediamo che farà.

Andarono le guardie e gli sequestrarono piallasucchiellomartellosegaogni cosa. Il Re li volle riposti in una stanza accanto alla suacamerae per maggior cautela si legò alla cintura la chiave dell'uscio.

Durante il giornogli arnesi stettero cheti; ma dopol'un'ora di nottein quella stanza si udì un rumore d'inferno: la sega segavala pialla piallavail martello martellavail succhiello succhiellavalatanaglia attanagliava; edopo un pezzettostrilli e pianti.

- Abbiamo fame! Abbiamo fame!

Il Re corse ad aprire; gli arnesi stavano al loro posto perterradove li avevano buttati alla rinfusa. Appena richiuso l'usciorumoredaccapostrilli e pianti:

- Abbiamo fame! Abbiamo fame!

Per quella notte il Re non poté dormire neppure un minuto.

La sera appresso fu peggio. Il Ministro disse:

- Maestàproviamo a dar loro da mangiare.

La sega segavala pialla piallavail martello martellavail succhiello succhiellavala tanaglia attanagliava.

- Chetateviin nome di Dio! Ecco qui da sfamarvi.

E chiusero l'uscio. Ed eccoacciottolìo di piattitintinnìo di bicchierirumore di argenteria e di coltelli smossiquasi lìdentro stessero ad apparecchiare una gran tavola; e poirisa e strilli:

- Tu mi conci! Tu mi strappi! Tu mi inzuppi.

Un portento.

- Ohmastro Acconcia-e-guasta dev'essere un Mago!

Il Re spedì le guardie e se lo fece condurre davanti:

- Che è questomastro Acconcia-e-guasta? I vostri arnesiparlano e mangiano; come mai?

Colui si strinse nelle spallee tirò una presa di tabacco.

- Se non svelate il misterovi faccio tagliare la testa.

- Che mistero o non misteroMaestà! Essi sono i miei figli.

- E perché ridotti in quello stato?

- Per aiutarmi a buscarci il pane.

Il Re gli credettee ordinò che gli restituissero ognicosa.

- Badate però di non dire più: Ho la bocca come lui! Ve nepentirete.

Mastro Acconcia-e-guasta riprese a lavorare. Ma gli avventoridiventarono scarsi; la gente avea paura di aver che fare con lui. Invano egliandava attorno per le viegridando a ogni quattro passi:

- C'è mastro Acconcia-e-guasta! Chi ha roba da guastare e daacconciare!

Nessuno lo chiamava.

- E ora come faretemastro Acconcia-e-guasta?

- Finché c'è collas'ingolla!

Infatti di colla in bottega n'aveva una catasta. Di giorno ingiorno però essa veniva mancando. Mangia oggimangia domanicolla non ce nefu più.

- E ora come faretemastro Acconcia-e-guasta?

Mastro Acconcia-e-guasta alzava le spalle e tirava su grandiprese di tabacco.

Il Re aveva sei figliuolitre maschi e tre femminetuttibelli e di ottima salute. Ma appunto in quei giorni si ammalarono tutti e seieil medico non capiva di che male. Languivanosenza appetitosenza potertollerare il più leggiero cibo nello stomaco.

Consulti dietro consultimedicineintrugli d'ogni sorta nongiovavano a niente. La figliuola maggiore morì.

Mentre la portavano a seppellireecco mastroAcconcia-e-guastacon una cassettina da morto su la spalla che andava dietrol'accompagnamento:

- Chi vi è mortomastro Acconcia-e-guasta?

- Mi è morta Seghina!

Il giorno dopo morì uno dei maschi; e mentre lo portano aseppellireecco mastro Acconcia-e-guastacon una cassettina da morto su laspallache andava dietro l'accompagnamento:

- Chi vi è morto mastro Acconcia-e-guasta?

- Mi è morto Martellino!

Cosìogni giornoora moriva un figliuoloora unafigliuola del Ree mastro Acconcia-e-guasta appariva dietro l'accompagnamentocon una cassettina da morto su la spalla:

- Chi vi è mortomastro Acconcia-e-guasta?

- Mi è morto Scalpellino! Mi è morta Piallina!

Il Ministroche era furbosaputo che mastroAcconcia-e-guasta era stato veduto ogni volta con una cassetta da morto su laspalla dietro l'accompagnamento dei figliuoli del Redisse:

- Maestàse non volete morti tutti i vostri figliuolimandate a chiamare mastro Acconcia-e-guasta. La disgrazia vi viene da lui.

Oramai restava in vita una sola figliuola del Reed era giàall'agonia.

- Ahmastro Acconcia-e-guastasalvate la mia carafigliuola!

- AhReal Maestàsalvate il mio caro Succhiellino!

- In che modo?

- C'è un solo modo: farli sposare!

Il Relì per lìper amor della figliuola stimò giustoacconsentire:

- Poigliela farò vedere ioa mastro Acconcia-e-guasta! -disse fra sé.

La Principessache era diventata Reginotta perché più nonc'erano altri figliuoliin pochi giorni guarì.

Il Re disse a mastro Acconcia-e-guasta:

- Conducete Succhiellino a palazzo.

- BadateMaestà: di giorno sarà proprio un succhiellolanotte no. Per orala sua sorte è questa.

- E dopo?

- Dopoquando Dio vorràsarà altrimenti.

- Alloradel matrimonio non ne facciamo nulla per ora.

- Come piace a Vostra Maestà.

Di tratto in trattoil Re domandava a mastroAcconcia-e-guasta:

- È ancora succhiello il giorno e la notte no?

AncoraMaestà

- Allora del matrimonio non ne facciamo nulla.

- Come piace a Vostra Maestà.

Gli anni passavano. Il Re era contento che il matrimoniodella Reginotta con Succhiello andasse per le lunghee si divertiva a canzonaremastro Acconcia-e-guasta:

- Questo è latte che non rappiglia! E voi che fatemastroAcconcia-e-guasta? Ora non avete più arresi e vi rimane soltanto il succhiello.

- Racconto fiabe a Succhiellino. Ieri glien'ho raccontata unabella assai. Volete sentirlaMaestà?

- Sentiamolamastro Acconcia-e-guasta!

- C'era una volta un Re che aveva due figliuoliuno buono el'altro cattivo. Quello buono era il Reuccio e alla morte del padre dovevaessere Re. La cosa non garbava al fratello cattivo.

Il Re si turbòe lo interruppe:

- La vostra fiaba non mi piace.

- State a sentireMaestà: il bello comincia qui. Dunquealcattivo non garbava e pensò di disfarsi del fratello buonoper diventare Relui alla morte del padre. Disse al fratello: «Andiamo a caccia». E andarono.Quando furono in un boscolontani dalle persone del séguitocava fuori laspada e dà addosso al fratello che non si aspettava il tradimento.

Il Re si turbò maggiormentee lo interruppe:

- Nonola vostra fiaba non mi piace.

- Ecco il più belloMaestà; state a sentire. Egli credevadi averlo ammazzatoe lo lasciò lì per morto dopo averlo coperto con erbaccee rami d'albero. E al padre riferì: «Lo hanno sbranato le fiere!».

- Ahimè! - gridò il Re. - Tu sei mio fratello! Perdona!

E gli si buttò ai pieditremante e piangente:

- Non mi far male!... Eccoti la corona! Non mi far male! SiiRe!

- Né tuné io! - rispose mastro Acconcia-e-guasta. - Il Resarà Succhiellino e la tua figliuola Regina.

Mastro Acconcia-e-guasta indossò abiti principeschi; nonsembrava più luie andò a prendere Succhiellino.

Non era più un succhielloma un bel giovane che parevaproprio nato a posta per essere Re. La Reginotta non era da meno di lui.

I due fratelli si abbracciaronosi baciarono; e colui chepoco prima aveva il nome di mastro Acconcia-e-guasta raccontò la propriastoria: in che maniera era scampato da morte; e poi diventato falegname. Lagente la dice la fiaba della Figlia dell'Orco; ve la racconterò un'altravolta.

Succhiellino e la Reginotta si sposarono con grandi festevissero lieti lunghi anni ed ebbero molti figli.

 

E chi più ne vuole più ne pigli.

 

 

 

La figlia dell'Orco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta un Re che aveva due figliuno buono el'altro cattivo. Quello buono era il Reuccioe alla morte del padre dovevaessere Re.

La cosa non garbava al cattivoe pensò di disfarsi delfratello per diventare Re lui. Un giorno gli disse:

- Andiamo a caccia?

E andarono. Giunti in mezzo a un boscolontani dalle personedel séguitocava fuori la spada e dà addosso al fratelloche non siaspettava quel tradimento. Credette di averlo ucciso. Coprì con erbacce e ramidi albero il corpo insanguinatoe tornò addietro.

A palazzoil Re domandò:

- E tuo fratello?

- Maestàche disgrazia! Fu sbranato dalle fiere!

Il povero padre ne fece un gran pianto. Dal dolore siammalòe dopo pochi giorni morì.

Il Reucciosotto le erbe e i ramirinvenne; e cominciò alamentarsia chiamare soccorso:

- Aiutobuoni cristianiaiuto!

Era già buio. Udendo rumore lì accostoil poverino gridòpiù forte che poté:

- Aiutobuoni cristianiaiuto!

Sentì frugare tra l'erbe e i rami; poidue manacce contanto di ugne lo ghermisconolo levano di peso quasi fosse un fuscellinoe unalingua ruvida come una raspa gli lecca il sangue addosso:

- Oh che buon sapore! Oh che buon sapore!

Il Reuccioa quel vocione cupo cuporabbrividì:

- Povero a me! Son capitato alle mani dell'Orco!

L'Orcoera proprio lui! Se lo mise sotto braccio come unfardellettoe si avviò per tornare alla sua grotta. Di tratto in trattosifermavaleccava il sangue delle ferite:

- Oh che buon sapore! Oh che buon sapore!

Altogrossoquasi un gigantefaceva certe sgambate cosìlarghe e lesteche non lo avrebbe raggiunto neppure il vento. In pochi minutifu alla porta della grotta e picchiò:

- Apriaprifigliuola; il babbo ti porta roba buona!

Il Reuccio si era svenuto di nuovo e pareva proprio morto. Lafiglia dell'Orcovedendo quel bel giovane tutto insanguinaton'ebbe pietà:

- Che roba buona dite mai! È morto; non vedete? Lo butto nelcarnaio.

L'Orco leccò un'ultima volta il sanguee disse:

- Hai ragione. Buttalo nel carnaio. Io torno fuori.

- Buon'andata e buon ritorno. Non venite prima di giorno.

Appena l'Orco fu partitola figlia corse a un armadiopreseil barattolo dov'era l'unguento che sana le feritee ne unse quelle delReuccio.

Il Reuccio aprì gli occhiquasi si svegliasse da una grandormita.

- Chi sietebella figliuola?

- Sono la figlia dell'Orco; non abbiate paura. Voi chi siete?

- Il Reuccio.

E le raccontò il tradimento del fratello.

- Lasciatemi andare; mio padre dev'essere in pena aquest'ora.

- C'è montivalli e foreste; non trovereste la via. Miopadre v'incontrerebbe e ne farebbe due bocconi. Bisogna avere il suo anello pernon smarrirsi; ma egli lo porta sempre in dito.

- Glielo leveròmentre dormese voi mi aiutate.

- E dopo?... Mi sbranerebbe.

- Vi porto via con me. Ci sposeremo.

S'intese il grido dell'Orcoche tornava inferocito per nonaver fatto preda alla caccia:

- Uhii! Uhii!

- Ecco mio padre. Entrate in quella grotta. C'è da mangiareda bere e un buon pagliericcio per dormire. Non fiatate fino a questa sera; senomio padre fa due bocconi di voi!

L'Orcoappena entratocominciò a fiutare attorno:

- Uh! Uh! Che odore di carne cristiana! Uh! Uh!

- È la fantasia che ve lo fa sentire. Siete stanco; desinatee andate subito a letto.

L'Orcobrontolandosi spolpò mezzo bue arrostoe si misea letto:

- Grattami la testafigliuola.

Non poteva addormentarsise sua figlia non gli grattava latesta. Con una mano ella grattavae con l'altra tentava di cavargli l'anellodal dito.

- Che tentifigliolaccia? - urlò l'Orco mezz'addormentato.

La figliaimpauritaritirò la mano e lasciò stare.

Verso seral'Orco si preparava a uscire per la sua caccia.

- Uh! Uh! Che odore di carne cristiana! Uh! Uh!

Fiutava attornosgranando gli occhicon l'acquolina inbocca.

- È la fantasia che ve lo fa sentire. Buona andata e buonritorno; non venite prima di giorno.

L'Orcobrontolandotirò la porta dietro a sé.

- Uhii! Uhii!

Si sentiva da lontano un miglio.

La figlia dell'Orco chiamò fuori il Reuccio.

- Ho tentato di cavargli l'anello; non mi è riuscito.Ritenterò domani.

- Fatemi vedere tutta la casaintanto che vostro padre nonc'è.

- Giuratemi prima che voi mi sposeretese andremo insiemevia di qui.

- Ve lo giuro.

La figlia dell'Orco aperse un uscioe il Reuccio rimase abocca aperta vedendo una stanza tutta tempestata di oro e diamanticon mobilidi marmodi argentodi legni preziosi. Per terra però qua e là ossaspolpatemacchiate di sangue.

- Che ossa son queste?

- Non ci badate

E aperse un altr'uscio. Il Reuccio rimase a bocca aperta.Pareti di lamine di argento lucide come specchi; cornici d'oro e di perle;pavimento di marmi rarissimi; e mobili fastosicortinaggi di stoffe non maivistecon ricami d'oro e frange d'oro... Una magnificenza. Per terra però quae là ossa spolpatemacchiate di sangue.

- Che ossa son queste?

- Non ci badate

Il Reuccio capì che erano ossa umane; tutte quelle poverecreature se le era divorate l'Orco. E si sentì correre brividi da capo aipiedipensando che forse anche colei ne aveva mangiate la sua parte.

- E lì dentro che c'è?

Accennava all'uscio tutto d'acciaiocon congegni complicatie due mostri di bronzo; uno a destral'altro a sinistrache mettevano paura.

- Lì dentro c'è il tesoro. Ma non vi si entra; bisognaavere in mano l'anelloper non esser mangiato vivo da questi mostri.

S'intese il grido dell'Orco che ritornava dalla caccia:

- Uhii! Uhii!

- Lestonella vostra grottae non fiatate fino a sera; senomio padre fa due bocconi di voi.

Il Reuccio ebbe appena il tempo di nascondersiche l'Orcopicchiava alla porta:

- Apriaprifigliuola! Il babbo ti porta roba buona.

Il Reuccio di là sentiva urli e piantie ganasce chemaciullavano; e poi soltanto quel maciullare di ganasce.

La figlia diceva al padre:

- Siete stanco; andate a letto.

L'Orco si spogliava:

- Grattami la testafigliuola.

- Ora gli leva l'anello - pensò il Reuccio.

Infattila sera dopoappena l'Orco fu andato via per lacacciala ragazza chiamò:

- ReuccioReuccioecco l'anello! Mio padrepoverinoorasi sperderà in mezzo al bosco. Per amor vostroio l'ho tradito.

Andarono nella stanza del tesoropresero oro e diamanti inquantitàe uscirono fuori. L'anello lo teneva in dito la figlia dell'Orco.

Passando pel boscosentivano da lontano:

- Uhii! Uhii!

- È mio padre che non trova la via. L'ho tradito per amorvostropovero babbo!

Il Reuccio la guardò in faccia e vide che aveva le labbrasporche di sangue.

- Che hai mangiato con tuo padre?

- Agnellinicaprettini che parevano bambini. Non mi sonpulita la bocca.

Nella prima città dove arrivaronoil Reuccio mantenne lasua parola e sposò la figlia dell'Orco. Lì seppe che suo padre era mortocheil fratello traditore era già Re. Ma che poteva farci? E rimase in quellacittàgodendosi i tesori portati via all'Orco.

Sua moglie a tavola non mangiavao assaggiava appena lepietanze.

- Perché non mangi?

- Non ho appetito.

O che campi d'aria?

- Non ci badare.

Una notteil Reuccio si sveglia e non trova sua moglie nelletto. La cerca per tutta la casae non la trova neppure. Era in gran pensiero.Verso l'albaeccola che rientra.

- Dove sei stata?

- A prendere un po' d'aria.

La guardò in faccia; aveva le labbra sporche di sangue:

- Che hai mangiato?

- Agnellinicaprettini che parevano bambini. Non mi sonpulita la bocca.

Per quella volta non ci fece caso. Intanto sua moglie loaizzava sempre contro il fratello traditore.

- Se tu fossi Reio sarei Regina!

- Sei meglio che Regina. Non ti manca nulla.

- Se tu fossi Reio sarei Regina! Dovresti andare aammazzare tuo fratello com'egli tentò di ammazzar te.

- E se non riesco?

- Con l'anello di mio padre si riesce a tutto! Dovrestivendicarti. Se tu fossi Reio sarei Regina!

Picchia oggipicchiadomaniil Reuccio cominciò a pensaresul serio alla vendetta contro il fratello. Lo tratteneva soltanto l'amore deifigliuoli. Ne aveva già cinque e un altro era per la via. Se lui moriva inquell'impresacome sarebbero rimasti quei poverini? Ma sua moglie ripicchiava:

- Se tu fossi Reio sarei Regina!

Si sgravò del sesto figliuolo. Ora erano tre maschi e trefemmine.

Una notte il Reuccio si sveglia e non trova sua moglie nelletto. La cerca per tutta la casae non la trova neppure. Era in gran pensiero.Verso l'albaeccola che rientra.

- Dove sei stata?

- A prendere un po' d'aria.

La guardò in faccia; aveva le labbra sporche di sangue:

- Che hai mangiato?

Agnellinicaprettini che parevano bambini. Non mi son pulitala bocca.

Questa volta però il Reuccio entrò in sospetto e inorridìpensando che pasto aveva forse fatto sua moglie.

- Non è figlia d'Orco per niente!

E l'odio contro il fratello e il desiderio di vendetta gliriavvampò in cuore.

- Se non fosse stato per il suo tradimentonon avrei sposatola figlia d'un Orco.

L'odiava di più per questo. Il sangue che lordava le labbradi sua moglie doveva essere di creature umane. Ohche orrore!

Un giorno disse a sua moglie:

- Porto i bambini a spasso.

Prese in collo l'ultimoche ancora non si era staccato edera spoppato di frescoe uscì fuori città. Camminacamminala notte losorprese in una pianura deserta. Non c'era casolare dove rifugiarsi; non sivedeva anima viva.

- Ahfratello scelleratodove mi trovo per te! Voglioammazzarti!

Coricò su la terra nuda i bambini che già cascavano dalsonnoe si sedette in un canto per vegliarli.

Tutt'a un tratto vede davanti a sé due occhi di bragiaeuna forma nera di animalaccio che si accostava adagino adagino.

Gli si agghiacciò il sangue. Non aveva la forza di cavar laspada e difendersi. E sentiva brontolare:

- Ah! Che buon odore di carne piccina! Che buon odore!

Quella voce non gli giungeva nuovama non gli riusciva diriconoscerla. L'amore dei figli però gl'infuse coraggio. Cavò la spada e sislanciò contro l'animalaccio dagli occhi di bragiache già aveva addentato ibambini.

- Ahi! Ahi! Muoio! Muoio!

Era sua mogliela figlia dell'Orco; stava per divorarsi leproprie creature. Non era figlia d'Orco per niente.

I bambini erano tutti laceratiinsanguinatie il poveroReuccio non sapeva come medicarli. Il giorno era altoe per la campagna desertanon si scorgeva anima viva.

Ed egli piangeva strappandosi i capellicon quell'orridospettacolo sotto gli occhi: la moglie morta da un canto e i bambini laceratiinsanguinati e morenti dall'altro.

- Fratello scellerato! Senza il tuo tradimentonon sarei aquesto punto!

- Che hai? Perché piangi?

Si voltò e si vide dinanzi una bellissima donna tuttavestita di bianco con in mano una verga d'oro.

- Ahbuona signoraaiutatemi voi! I miei bambini!... I mieibambini!

- Posso aiutartima a un patto.

- A qualunque pattobuona signora!

- Ascolta bene: io so tutto. Il tradimento di tuo fratellol'Orcola tua fuga con la figlia di luiil tuo matrimoniotutto. Se vuoiperò che io ti aiutidevi perdonare a tuo fratello.

- A quell'infame? Nomai!

La bellissima signoraturbata in visogli voltò le spallee stava per andarsene.

- Sìsìgli perdono! - gridò il Reuccio. - Pei mieifigliuoli!

La signora gli si accostò sorridente e gli disse:

- Ascolta bene. Dei tuoi figliuolidopo parecchi anniunosolo sopravviverà; questoil minore. E sai perché? Perché egli soltanto nonè nutrito di carne umana. Tua moglieper virtù dell'anelloti assopivaprofondamente e usciva la notte a caccia di bambini: non era figlia d'Orco perniente. Gli altri cinqueove campasserodiventerebbero Orchi anche loro!

Il Reuccio piangeva.

- Se tu perdoni al fratelloil tuo figliolino sarà Re.

- Sìsìgli perdono! Gli perdono di tutto cuore!

- Oraguarda!

Stese la verga d'oro e cominciò a toccare ad uno ad uno ibambini; e di mano in mano che li andava toccandoaccadeva un portento. Questidiventava un martelloquegli uno scalpellochi una tenagliachi una piallachi una sega. Toccato il minorediventò un succhiello.

Il Reuccio allibì: si sentì drizzare i capelli in testa.

La signora gli fece un cenno con la mano:

- Non disperarti: non è niente. Tu sarai falegname e questii tuoi arnesi. Di giornoti serviranno per il tuo mestiere; la nottetòccalicon l'anello dell'Orco; ridiventeranno bambini.

- E voi chi siete?

- Sono una Fata.

Il Reuccio si rincorò:

- FatabuonaFatasuggeritemi voi che debbo fare.

- Raccogli questi arnesi e va' nella città dov'è il Re tuofratello. Prenderai a pigione una bottegucciae lavorerai di falegname. Lacolla e i chiodi devono comprarli gli avventori. I chiodi che avanzerannolirenderai; la collano; mettila da parte. Sarà buona da mangiare; vedrai.

E gli spiegò tutto quel che doveva accadere.

Il Reuccio raccolse gli arnesi:

I miei figli ora si chiamano: PiallinaScalpellinoTanaglinaMartellinoSeghina e Succhiellino!

Piangeva e rideva consolato.

- E il cadavere di tua moglie? Lo lasci cosìin preda allebestie feroci e agli uccelli di rapina?

- È giusto! PoverettaOrco il padreOrca lei: non ci avevacolpa.

Le tolse dal dito l'anelloscavò una fossa e la seppellì.

- Che nome prenderòbuona Fata?

- Il nome te lo appiccicherà la gente; ti chiameranno:Mastro Acconcia-e-guasta. Parrai un vecchio; ma parrai soltanto.

- Graziegraziebuona Fata!

Guardò attornovicinolontano; la Fata era sparita.

Il restobambini mieigià lo sapete. E la fiaba della Figliadell'Orco è bell'e finita:

 

 

 

Bambolina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta un pescatore che vivucchiava alla meglio colprodotto della sua pesca. Partiva in barca la serastava a pescare tutta lanottatae la mattina dopo all'alba era di ritorno.

Quando aveva fatto una buona retatascorgendo da lontano lamoglie che lo attendevaansiosaalla spiaggiale faceva segno di rallegrarsiagitando per aria il berretto.

Da parecchi mesi però il povero pescatore aveva una grandisdetta; pareva che quasi tutti i pesci si fossero messi d'accordo per nonfarsi pescare da lui. I suoi compagniinvecene pigliavano tanti e poi tantiche spesso dovevano rigettarli in mareperché il troppo peso non facesseaffondare le barche.

Disperato un giorno disse alla moglie:

- Vendiamo barcareti e ogni cosa; almeno tireremo innanziun buon paio di settimane con quel po' di danaro che ne caveremo. Se nosaremoben presto morti di stento tuio e Bambolina.

Avevano una figliolettanata di sette mesicosì piccina emiserinache la sua mammastando a filare davanti l'uscio di casala tenevacomodamente in una tasca del grembiule. La creaturina non riusciva a crescere. Asette anni era rimasta tal quale di quando era nata. Non piangeva maisorridevasempre con quel vestitino da bambolae parlava con una vocina così esileesileche si sentiva appena. Per questo la chiamavano Bambolina.

Quanto a mangiareinveceBambolina aveva un appetito chesbalordiva; i poveri genitori non sapevano a qual santo votarsi per sfamarla. Edera una bocca inutile; la moglie lo diceva spesso al marito:

- Costei è la nostra disgrazia! Ma è sangue del nostrosangue. Facciamo la volontà di Dio!

Ora che il pescatore si trovava con quella disdetta addossoripensava continuamente le parole della moglie:

-Costei è la nostra disgrazia!

E non poteva vedere la bambina; non le faceva più unacarezza; la maltrattava anziquando ellacon la vocina esile esilegridava:

- Ho fame! Ho fame!

Un giorno il pescatoreche aveva già venduto barcaremireti e ogni attrezzo del suo mestierestava a sedere su uno scoglio vicino allaspiaggiacon la testa fra le manilamentandosi della sua mala sorte.

A un tratto vide sorgere in mezzo al mare una figura di donnachedal petto in giùaveva forma di pesce. Nuotavanuotavatutta grondantee veniva diritta verso di lui.

- Pescatoreperché ti lamenti?

- Sono un disgraziato! Vo' a pescaree non piglio piùpesci. Ho venduto barcareti e ogni cosae il denaro è già. finito. Non sofare altro mestiere. Moriremo di fame iomia moglie e Bambolina.

- Senti - disse la donna-pesce. - Se tu mi dài Bambolinatiregalo un bel mucchietto di monete d'oroche ti caverà da ogni guaio.

- Non vendo il sangue del mio sangue.

- Pensaci bene. Tornerò fra otto giorni.

La donna-pesce si tuffò in mare e disparve.

Giunto a casastava per raccontare alla moglie quel che gliera accaduto; ma si trattenne. Voleva ripensarci bene.

Ci ripensò per otto lunghi giornie all'ultimo si decise.Senza dir nulla alla moglieavrebbe venduto Bambolina alla donna-pesce esarebbe uscito da ogni guaio.

Una mattina infatti disse alla moglie:

- Vo' alla spiaggia con Bambolinaper farla divertire.

Se la mise in tascae s'avviò.

- Babbodove mi porti?

- Dove vuole la tua sorte.

- Ahbabbo scellerato! Ahbabbo senza cuore!

- Zittao ti torco il collo.

Passava gentee la bambinaintimiditatacque.

Di lì a pochi passi:

-Babbodove mi porti?

- Dove vuole la tua sorte.

- Ahbabbo scellerato! Ahbabbo senza cuore! La donna-pescemi mangerà.

Il pescatore sbalordì.

- Che ne sai tu della donna-pesce?

- L'ho sognata la notte scorsa. Tagliami almeno una ciocca dicapelli e portala per ricordo alla mamma.

Le tagliò una ciocca di capellie giunto su lo scoglio sisedette ad aspettare. Verso mezzogiornoecco a fior d'acqua la donna-pescetutta grondante:

- Pescatoreci hai pensato bene?

- Ci ho pensato bene. Ho qui in tasca Bambolina. Fammi vedereil tuo gruzzolo d'oro.

La donna-pesce spinse in alto la coda e mostrò un panierinotessuto di fili d'erba sottomarinacon dentro un bel mucchietto di monete dioro stralucente. Il pescatore rimase abbagliato; e portò una mano alla tascasenza guardar in viso la figliuola:

- Da' qua. Eccoti Bambolina.

- Non le manca neppure un capello?

- Neppure un capello.

Egli tacque della ciocca tagliatele poco primatemendo chela donna-pesce non volesse fare più il negoziosaputo che a Bambolina mancavaqualcosa.

La donna-pesce si accostò allo scoglioporse il mucchiod'oro al pescatoreprese in cambio Bambolina e si allontanò dalla spiaggia:

- Badapescatore! Chi inganna è ingannato.

Si rituffò in mare e disparve con Bambolina tra le braccia.

La moglievedendo tornare il maritogli domandò premurosa:

- Bambolina dov'è?

- Eccola qui.

E trasse di tasca il panierino col mucchietto delle moneted'oro.

A quella vistala povera madre cominciò a strapparsi icapellia piangere e a gridare:

- Ahfigliolina mia! L'ha vendutalo scellerato! AhBambolina mia!

- Zittao ti torco il collo. L'ho venduta per cagion tua.Dicevi sempre: È una bocca inutile! È la nostra disgrazia! Questa è unaciocca dei suoi capelli; te la manda per ricordo.

- Tienti l'oro per te; a me i suoi capelli mi bastano.

Li baciavali ribaciavali bagnava di lagrime.

- E alla gente che dirai?

- Dirò che Bambolina è caduta in mare e se la son mangiatai pesci.

Il pescatoreriposto il suo tesoro in un cassettoneneprese soltanto una manciataper andare a far delle compere nei negozi piùricchi. Intendeva subito godersi la vita e sfoggiare.

- Quanto lo fate questo qui?

- Cento lire.

- Uh! Una miseria! Tenete.

- A chi li date cotesti gusci di telline? Qui non si fa laburletta.

Il pescatore diventò smorto come un cadavere. Mettendo lemani in tascasentiva di avervi una manciata di monete d'oro; cavandole fuorisi trovava in pugno tanti gusci di telline.

Gli pareva impossibile; non si sapeva persuadere. E va in unaltro negozio.

- Quanto lo fate questo qui?

- Trecento lire.

- Uh! Una miseria! Tenete.

- Qui non si fa la burletta. A Chi li date cotesti gusci ditelline?

Se ne tornò a casa sconsolato. Aveva perduto la figliolina esarebbe morto di fame lo stesso! La donna-pesce gliel'aveva detto: «Badapescatore! Chi inganna è ingannato». E già si trovava bell'e ingannato conquei gusci di telline.

- Moglie miacome faremo?

- Faremo la volontà di Dio.

- La gentenon vedendo più la bimbettadomandava:

- E la vostra Bambolina?

- Cadde in mare e se la mangiarono i pesci.

Il marito rispondeva così; e la moglie stava zitta epiangeva.

Come mai nessuno aveva saputo niente di quel caso?

La gente cominciò a sospettare e a ciarlare.

- Chi sa che n'hanno fattopovera creaturina! L'hannoammazzata per levarsi di torno una bocca inutile. Scellerati!

Le ciarle giunsero all'orecchio del Re. Il Re spedì le sueguardie e si fece condurre dinanzi marito e moglie ammanettati.

- Che n'è di Bambolina?

- Cadde in mare e se la mangiarono i pesci.

La donna scoppiò in pianto:

- Maestànon è vero! L'ha venduta alla donna-pesce!

- Ti do tempo un mese. Se fra un mese non avrai recuperataBambolinaavrai accarezzato il collo dal boia.

Il pescatore corse allo scoglio e si mise a chiamare:

- Donna-pesce!... O donna-pesce!

La donna-pesce comparve a fior d'acqua tutta grondante.

- Che cosa vuoi da me?

- Se mi ridai Bambolinati restituisco il tuo oro conqualcosa per giuntaquel che tu vorrai.

- Portami in cambio il Reuccio e la cosa è fatta.

Il pescatore si tastò il collogli pareva di averci attornola corda del boia che doveva strozzarlo. Quel cambio col Reuccio eraimpossibile. Pure si risolse di tentare.

Ogni mattina andava davanti al palazzo reale: se il Reucciofosse uscito fuori solo a fare chiasso con gli altri bambiniegli con belleparoline l'avrebbe attirato in riva al mare e l'avrebbe dato alla donna-pesce inricambio di Bambolina.

I giorni passavano e il Reuccio non si vedeva; o se uscivafuoric'era sempre qualche servitore che gli faceva la guardia. Un giornofinalmente si diè il caso che uscisse solo.

- ReuccioReuccioil mare è tranquillo e ci sono tanti beipesci.

- Conducimi. I pesci di chi sono?

- Sono vostrise li volete. Venitemi dietroper non farviscorgere.

E lo menò su lo scoglio.

- Donna-pesce! O donna-pesce! Ho menato il Reuccio.

La donna-pesce comparve a fior d'acqua tutta grondante.

Il Reuccio ebbe paura di quella donna dalla coda di pesce esi mise a strillare. Ma il pescatore lo afferrò e glielo porsee prese incambio Bambolina. Egli s'era avveduto che Bambolina aveva strappato al Reucciouna ciocca di capellimentre questi si dibatteva per non andare in braccio delmostro.

- Non gli manca nulla?

- Non gli manca nulla.

- Bada pescatore! Chi inganna è ingannato.

E la donna-pesce si rituffò in mare insieme col Reuccio edisparve. Il pescatore si mise in tasca Bambolina. Per via la interrogava.

- Bambolinache cosa hai veduto in fondo al mare?

Bambolinazitta.

- Bambolinache cosa hai mangiato in fondo al mare?

Bambolinazitta.

- Bambolinanon avercela col tuo babbo. La fame fa faredelle brutte cose.

E Bambolinazitta.

Il pescatore si presentò al Re:

- Ecco Bambolina.

- Ah! Ti fai anche beffa di me! Impiccatelo!

Il povero pescatore rimase. Invece di Bambolina bella e vivaaveva in mano proprio una bambola di legno che le somigliava perfettamente. Ladonna-pesce l'aveva ingannato.

- Chi t'ha fatto questa bambola?

Il Re la voltava e rivoltava fra le manimeravigliato dellarassomiglianza. Nel tastarlatocca una mollae la bambola di legno si mette aparlare:

 

- Bambolina è in fondo al mare

Il Reuccio dee sposare.

Chi l'ha fatta e può disfarla

Vada subito a cercarla.

 

- Il Reuccio? Dov'è il Reuccio? Cercate il Reuccio!

Il Re pareva impazzito dal dolore. Il Reuccio non si trovava;nessuno l'aveva veduto.

- Che n'hai fatto del Reuccio?

Il pescatore tremante di pauraraccontò ogni cosa.

La bambola di legno non si chetava:

 

- Bambolina è in fondo al mare

Il Reuccio dee sposare.

Chi l'ha fatta e può disfarla

Vada subito a cercarla.

 

Il Re si diè un colpo alla fronte:

- Questo è un incantesimo! Non ci ha colpa nessuno. Radunòil Consiglio della Corona per consultare i Ministri.

- Che vuol dire: Chi l'ha fatta e può disfarla?

Nessuno riusciva a capirlo. Chi l'ha fatta è sua madre; macome mai può disfarla? Ci perdevano la testa.

- Lasciatemi andare - disse la madre che smaniava di rivedereBambolina.

Prese con sé le ciocche dei capelli della figlia e delReuccioe sola sola se n'andò in un punto di spiaggia deserto. Migliaia dipesciolini formicolavano nell'acqua.

- Pesciolini di Diodatemi retta: dove si trova ladonna-pesce?

I pesciolini si dispersero e sparirono quasi atterriti daquel nome.

Dopo pocoecco centinaia di pesci più grossi cheformicolavano nell'acqua.

- Pescipesci di Diodatemi retta: dove si trova ladonna-pesce?

Anche questi si dispersero e sparironoquasi atterriti daquel nome. Poco dopoecco un pesce grosso come un vitello. Apriva e chiudevauna bocca quanto quella di un fornocon doppie file di dentacci acuti e unalingua rossa rossa.

- Pescepesce di Diodammi retta: dove si trova ladonna-pesce?

- Vieni con me e lo saprai.

La povera mamma non esitò un istante in faccia al pericolod'annegarsi; e si tuffò in maretenendo stretti in pugno i capelli diBambolina e del Reuccio. Camminava sott'acqua come in terraferma; il pescespaventoso avanti e lei dietrofra torme di pesci di ogni sortache siscansavano per lasciarla passare.

Camminacamminascendiscendi sempre più in fondonons'arrivava. E ad ogni latosottosopratorme di pesci senza finedi ogniforma e di ogni grandezzache nessuno aveva pescato mai. Ellache ne avevaveduti tanti e ne sapeva i nomidi questi qui non ne aveva ideae stupiva chece ne potessero essere un sì gran numero.

Scendiscendiscendifinalmente ecco un bosco di piantestrane che parevano vive e si movevanoe grotte in filatutte ornate di fioriche si aprivano e si chiudevanoe sembrava nuotassero anch'essi.

- La donna-pesce abita lì.

- Graziebuon pesce. Che posso darti in compenso?

- Mi basta il buon cuore.

La povera donna picchia e chiama:

- Donna-pesce! O donna-pesce!

- Chi mi vuole? Chi sei?

- Sono la madre di Bambolina.

- Che sei venuta a fare?

- Apri e te lo dirò.

La donna-pesce aprì l'uscio e la fece entrare.

La grotta era uno splendoretutta di argento e d'oro e diperle e diamanti.

- Tua figlia sta bene qui; lasciala stare. Senti? Fa ilchiasso col Reuccio nella grotta accanto.

- Fammela almeno vedere.

- Non possonon posso.

- La bambola di legno ha detto:

 

Chi l'ha fatta e può disfarla

Venga subito a pigliarla.

 

- E tu avresti cuore di disfarla?

L'afflitta mamma fu imbarazzata. Pure disse franca:

- Sìsì!

Le ciocche dei capellitenute strette nel pugnole avevanosuggerito di rispondere a quel modo.

La donna-pesce si contorse tuttae brontolando andò di làa prendere Bambolina.

Figuratevi la povera mamma a quella vista!

- Bambolina mia! Bambolina mia!

Non finiva di baciarla; e se la divorava dai baci.

- Bastabasta! Vediamo se sei buona a disfarla.

La donna-pesce si contorceva tutta.

La mamma strinse forte la ciocca dei capelli e si sentisuggerire:

- Tirale le gambe.

Afferrò Bambolina e le tirò le gambe.

- Ahi! Ahi! Ahi!

La donna-pesce si contorcevaquasi colei le avesse invecetirata la coda.

E le gambine di Bambolina si allungavano quanto le gambe diuna bella ragazzina di otto anni.

La mamma le tirò le braccia.

- Ahi! Ahi! Ahi!

Ladonna-pesce si contorcevaquasi colei le avesse tirate lesue.

Ele braccia di Bambolinasi allungarono quanto le bracciad'una bella ragazzina di otto anni.

La mamma letirò il bustoe poi il collo.

- Ahi! Ahi! Ahi!

La donna-pescesi contorce più di primaquasi colei leavesse tirato il busto e il colloe casca morta per terra.

La donna prese Bambolina per una mano e il Reuccio perl'altra e uscì dalla grotta. Fuori c'erano milioni di pesci che stavano adaspettarlifacendo guizzi in mezzo all'acquaquasi ammattiti dalla gioia disaper morta la donna-pesce.

E salirono suaccompagnati da questo strano corteggio. Queipesci erano così allegriche non vedevano neppure le reti tese dai pescatori ev'incappavano a migliaia.

Uscendo fuori dal marela mammaBambolina e il Reucciotrovarono su la spiaggia una gran festa. Le ceste dei pescatori rigurgitavano.L'arena della riva era ingombra di pesci mezzi vivi; ne prendeva chi voleva. Glistessi pescatori li davano in regalo; non sapevano che farsene.

Alla notizia corsero il Rela Corteil popolo tuttoe traessi il povero pescatore che s'era già pentito del suo mal fatto.

Al vedere Bambolinadiventata così bella che pareva unsoleil Re esclamò:

- È proprio una Reginotta!

Infattialcuni anni dopoBambolina e il Reuccio sisposarono. E quel giorno il Re volle chein ricordo del casoin tutto il suoregno non si mangiasse altro che pesce.

 

Chi l'allunga e chi l'accorcia

La mia è detta; orala vostra.

 

 

 

Il barbiere

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta un barbiere che faceva la barba alla poveragente. Scorticava le facce con un vecchio rasoio e vi trinciava braciole diquando in quando. E se gli avventori si lamentavanoegliche era di umoreallegrorispondeva:

- Per un soldinovi faccio la barba e una braciola; ebrontolate? Una braciola costa di più.

Gli avventori ridevano e andavano via contenticol visoimpiastricciato di ragnateliper stagnare il sangue.

Quando non aveva da fareprendeva la chitarra e sedevadavanti la bottegastrimpellando e cantando:

 

- Chi la vuol crudachi la vuol cotta

E c'è chi vuole la Reginotta.

Chi la vuol cottachi la vuol cruda;

Ma io vorrei...

 

E si fermava. Gli domandavano:

- Che vorresti?

- Nientenientelo so io!

Un giornomentr'egli cantavapassò il Re.

 

- Chi la vuol cottachi la vuol cruda;

Ma io vorrei...

 

- Ebbene? Che vorresti? - domandò il Re.

- Maestàè inutile ve lo dica; non me la potreste dareneppur voi.

- Voglio saperlo.

- Se ve lo dicoMaestàvi verrà la voglia come a me.

- Dimmelo.

 

Chi la vuol cottachi la vuol cruda;

Ma io vorrei... tanto di coda!...

Tanto di coda! tanto di coda!

 

Il Re si mise a ridere.

- Cantala un'altra volta.

Il barbiere cominciò daccapo:

 

Chi la vuol crudachi la vuol cotta

E c'è chi vuole la Reginotta.

 

- E tu non vorresti la Reginotta? Preferisci la coda? Saraiservito. Arrestateloe conducetelo a palazzo.

Le guardie lo afferraronolo legarono ben bene e locondussero a palazzo.

Il Re ordinò che tagliassero una coda a un cavallo epreparassero un paiolo da struggervi la pece.

- La vuoi? Eccola qui.

E con le proprie mani intinse la base della coda nella pecebollente e l'appiccicò al barbiere nel posto dove stanno le code.

Il barbiere non disse né ahi né bahiquasi la pecebollente non lo avesse scottato. Anziprima di nasconder la coda nei calzonisi voltò verso il Rela inarcò e l'agitòcome soglion fare i cavalli quandosono allegrie si curvò fino a terra:

- GrazieMaestà!

- Nonon devi nasconderla - disse il Re.

Gli fecero un buco nei calzonine cavarono fuori la coda elo lasciarono andare.

La gente correva dietro al barbiereridendofischiandourlando:

- Ohla coda! Ohla coda!

Il barbiere se n'andò difilato in bottegasenza neppurevoltarsiscodinzolando.

Quando aveva finito di far la barba agli avventoriprendevaal solitola chitarra e si sedeva davanti la bottegaa strimpellare e acantare:

 

- Chi la vuol cottachi la vuol cruda;

Non tutti gli uomini hanno la coda!

Chi la vuol crudachi la vuol cotta

E ora aspetto...

 

E si fermava. Gli domandavano:

- Che aspetti?

- Nienteniente; lo so io.

Un giornomentre cantavatornò a passare il Regiustoappunto quandoegli diceva: E ora aspetto...

- Ebbene? Che aspetti? - domandò il Re.

Il barbiere continuò a strimpellare: trintrintrintrin!

- Che aspetti? Voglio saperlo.

- Aspetto quel che verrà. Trintrin! Trintrin!

- Impertinente! Dategli cento nerbate sotto la coda.

Le guardie fecero per afferrare il barbiere; ma questisparava calci di qua e di làproprio come un cavallo. Le povere guardieruzzolavano per terraurlando:

- Ahi! Ahi!

E un bel calcio lo prese il Rein una gamba:

- Ahi! Ahi!

Il Rescornatodovette tornarsenezoppicandoa palazzo; ele guardie lo seguironozoppicando peggio di lui.

- Maestàche avete mai fatto? - gli disse un Ministro: -Ora che il barbiere ha la codanessuno ce la può con lui.

Il Re pensò:

- Se me n'appiccicassi due io? Diventerei più fortee loconcerei per il dì delle feste.

Fece tagliare due code ai migliori cavalli della suascuderiae da séperché la cosa non si risapessestrusse la pece nelpaiolove le intinse alla base e cercò di appiccicarsele nel posto dove stannole code. La pece bollente scottava. Sua Maestà cominciò a strillare e saltareper la stanzamandando accidenti al barbiere. Le code non gli si eranoappiccicatee aveva due piaghe nella schiena!

Quel giorno il barbiere si mise a cantare un'altracanzonetta:

 

- E unae duee tre

Vuol la coda come me!

Con le code ci vuol fortuna

Ne vuol due e non n'ha una.

 

La gente si domandava:

- Chi ne vuol due e non ne ha una?

 

- E unae duee tre

Lo so io e lo sa il Re.

 

La gente scrollava il capo:

- Il barbiere è ammattito.

Il Re intanto schizzava foco e fiamme contro di lui; madoveva frenarsi. Chi ce la poteva con quel demonio da che aveva la coda? Ecercava un'occasioneper fargliele pagare tutte a una volta.

Uno dei Ministri gli suggerì:

- Maestàcostui non è del paese; è piovuto non si sa didove; cacciatelo via.

- Come si fa a cacciarlo?

- Nessuno gli dia paneacqua e focopena la vita: dovràandarsene coi suoi piedise non vuol morire di famedi sete e di freddo.

- Ben pensata!

E il Re fece il decreto:

- Pena la vitanessuno dia paneacqua e foco al barbiere.

Il barbiere chiuse la bottegae con la chitarra a tracollaandò a presentarsi al Re:.

- Me ne vado fuori del regnogiacché Vostra Maestà vuolecosì. Solamentechiedo una grazia.

- Che grazia?

- Per l'ultima voltavorrei cantare una canzonetta alcospetto di Vostra Maestà e di tutta la corte..

- Ti sia concesso.

Il barbiere accordò la chitarra e si mise a cantare:

 

- Chi la vuol cottachi la vuol cruda;

Non tutti gli uomini hanno la coda!

Chi la vuol crudachi la vuol cotta

E ora aspetto... la Reginotta!

La Reginotta! La Reginotta!

 

- Levati di tornomascalzone!

Il barbiere voltò le spalle a Sua Maestàinarcò; agitòla codacome fanno i cavalli quando sono allegrisi curvò fino a terraeandò via.

- Pioggia davantie vento di dietro!

Il Re trasse un sospirone quando lo vide partito. Eper unpezzodel barbiere non si seppe nuova né buona né cattiva. Il Re aveva unafigliuola e voleva maritarla.

- Chi vuoi sposarefigliuola mia? Il Reuccio di Francia? IlReuccio di Spagna? Il Reuccio di Portogallo? Ti hanno chiesto tutti e treeattendono la tua risposta.

- Chi debbo sposar iodeve dirlo radichetta.

- E chi mai è cotesta radichetta?

- Eccola qui.

La Reginotta cavò di tasca una radichetta scurabitorzoluta.

- Quando avrò vicino chi dovrà essere il mio sposolaradichetta germoglierà. Me l'ha data una Fata. Dice: Se sposi un altroguai ate!

- Regalo d'una Fatanon può essere cosa cattiva - pensò ilRe.

E invitò i tre Reucci per vedere chi di loro avrebbeavutola virtù di far germogliare la radichetta.

Arrivò primo il Reuccio di Francia. Presuntuososuperbodisse:

- VedreteReginotta; la faccio fiorire di botto. Cavatelafuori.

La radichettascura e bitorzoluta essa erascura ebitorzoluta rimase.

Egli volle toccarlastrofinarla; gli pareva impossibile cheil Reuccio di Francia non l'avesse fatta fiorire alla prima. Ma più la toccavae più scura e bitorzoluta diventava.

- L'avete fatto a postaper onta! Maestàme la pagherete!E andò viasenza salutare nessunominaccioso.

Arrivòsecondoil Reuccio di Spagnacerimoniosopieno digentilezze:

- Vi piacerebbeReginottase la bella sorte toccasse a me?

- Mi piacerebbe.

E cavò di tasca la radichetta. Scura e bitorzoluta essa erascura e bitorzoluta rimase.

Il Reuccio la toccavala strofinava delicatamentemortificato che un Reuccio di Spagna non fosse riuscito a farla fiorire. Ma piùla toccava e strofinavae più scura e bitorzoluta diventava.

- L'avete fatto a postaper onta! Maestàme la pagherete!

E andò via impettito e gonfiosenza salutare nessuno.

Arrivòultimoil Reuccio di Portogallo. Si eraringalluzzitosentendo che gli altri due avevano fatto fiasco. E si presentòsenza dir nullacon un sorrisetto di soddisfazione sulle labbraaspettando chela Reginotta cavasse fuori la radichetta. Gli pareva che già dovesse cavarla ditasca bell'e fiorita.

Scura e bitorzoluta essa erae scura e bitorzoluta rimase.

- L'avete fatto a postaper onta! Maestàme la pagherete!

E andò viaanche luisenza salutare nessuno.

I Re di Franciadi Spagna e di Portogallo fecero lega traloro e intimarono la guerra al povero Reche non c'entrava per niente.

Alle prime battagliegliele sonarono bene.

Stavano tre contro unoche non era neppure molto forte. IlRe dovette scappare a cavallo per salvare la vita.

- Ahse fosse qui il barbiere! - esclamò.

- Maestàera al portone di palazzo; veniva per farsisoldato. Le guardie gli hanno impedito di entrare; è andato via.

- Che disgrazia! E tutto questo per una radica maledetta!Dammela qua; voglio buttarla via.

La Reginotta la cavò di tasca e gliela porse piangendo:

- Maestàvoi buttate via la mia fortuna.

- Butterei via anche tein questo momento!

Il Re era su tutte le furie. Aperse la finestra e scagliòfuori la radichetta con la maggior forza che poté.

- Oradi nuovo alla guerra! Fate marciare l'esercito.Sellate il mio cavallo subito subito. Questa volta vinceremo.

Gli pareva chebuttando via la radichettasi fosse giàlevato il malaugurio di dosso.

Entrò tutt'a un tratto il Ministro:

- Maestà! Maestà! La radichetta è fiorita! È cascata intesta a uno che passava per caso sotto la finestra. Appena la raccolseglifiori in mano. Questo è buon segno.

- Chi sarà? Fatelo venire. Sarà un Recertamente.

Che Re! Era il barbierequello dalla codache veniva avantifacendo inchinicon la chitarra a tracolla e la radichetta fiorita in mano.

E prima che il Resbalorditopossa dirgli una parolaeglisi mette a suonare e a cantare:

 

- Chi la vuol cottachi la vuol cruda;

Non tutti gli uomini hanno la coda!

Chi la vuol crudachi la vuol cotta

Ora mi spetta la Reginotta.

 

Se non son Reucciosono Principee posso imparentarmi colRe. E vi farò vedere che prodezze può far fare la coda.

Al Re non parve vero. Lo mise a capo dell'esercitoe fu untagliataglia. Con la coda all'ariae la chitarra afferrata a due mani pelmanico - non volle altr'arma - il barbierecioè il Principefece prodezze danon dirsi. I tre Re scapparono a precipiziolasciando mezz'esercito morto sulcampo.

E quando l'esercito vittorioso fece ritornoa capo d'essoc'era il barbierecioè il Principecon la coda all'aria e la chitarra alfiancoche andava sonando e cantando:

 

- Chi la vuol crudachi la vuol cotta

Ora mi spetta la Reginotta.

 

Alla Reginotta però quell'uomo con la coda non andava; lefaceva schifo e paura insiemee non voleva per nulla sposarlo; ma non diceva ilperché.

Figuratevi la rabbia di Sua Maestàche aveva tanto soffertoappunto per lei e per la sua radichetta.

- E perché non vuoi sposarlo? È nobileè giovane.

- Perché ha la coda.

- Non è nulla - disse il Principe. - Me la faccio tagliare.

Non c'era verso né di tagliarlané di strapparla; e ilpalazzo reale pareva un infernocol Re che urlava contro la ReginottacolPrincipe che strepitava e cantava da mattina a sera: - Chi la vuol crudachi lavuol cotta; ora mi spetta la Reginotta -; con la Reginotta che piangeva notte egiornoe intisichiva dal dispiacere di quello sposo con la coda.

Si presentò una vecchina; voleva parlare con la Reginotta.

- Mi riconosci?

- Non vi ho mai vista!

- Mi riconosci?

S'era trasfigurata. Pareva un sole.

- La mia buona Fata! Quella della radichetta!

E le si gettò ai piedi supplicandola:

- Per pietàbuona Fata; salvatemi voi. Il Principe con lacoda non lo voglio! Meglio morta.

- Non t'angustiare. Ripareremo.

Le disse quel che doveva fare e sparì.

La Reginottatutta contentaandò di làdove erano il Ree lo sposo.

- Maestàprendete in mano la radichetta germogliata. Voiappiccicaste la coda e voi dovete farla sparire.

Infatti di mano in mano che il Re strappava le foglie dellaradichettala coda del principe si accorciavasi accorciava. Strappatal'ultima fogliolinala coda sparì interamente; non se ne vedeva neppure ilsegno.

La Reginotta e il Principe si sposaronoe vissero fino allavecchiezzacon gran numero di figli attorno.

 

Stretta la foglia sialarga la via

Dite la vostraché ho detto la mia.

 

 

 

Il gattino di gesso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta un figurinaio che andava attorno per le vievendendo figurine di gesso:

- Chi vuol figurinechi vuole!

Su la tavola che portava in testa sopra un cércinevecchipanciutigatti e conigli crollavano il capo e parevano vivi.

- Chi vuol figurinechi vuole!

Un giorno aveva fatto buoni affari; gli rimaneva soltanto ungattino. Non lo aveva voluto nessunoquantunque niente diverso dagli altrivenduti.

Il povero figurinaio si sgolava inutilmente:

- Ohil bel gattino! Chi vuole questo gattinochi vuole!

Si trovava in quel momento sotto le finestre del palazzoreale:

- Figurinaiovenite su.

Non gli era mai capitata la fortuna di vendere qualcuna diquelle sue cosucce alla casa del Re. Dalla contentezza non stava nei panniemontava gli scalini a quattro a quattro. Arrivato all'ultimo pianerottoloinciampa e casca quant'era lungo. Il gattino andò in pezzi.

La Reginottach'era corsa all'usciocominciò a strillare:

- Voglio il gattino! Voglio il gattino!

- Reginottanon è niente; ne farò un altro.

- No ! No! Voglio questo qui!

- Se avessi un po' di collalo incollerei.

Non aveva ancora finito di parlareche i pezzetti simovevanosi ricercavano tra loro e s'incollavano da sé; e già il gattinocrollava la testa e pareva contento di quella prodezza. Il figurinaio era piùsbalordito degli altri. Quasi quasi avrebbe voluto riportarselo via; quelgattino portentoso forse sarebbe stato la sua fortuna. Ma col Re non sischerzava; bisognava venderlo per forza.

- Quanto ne vuoi? - domandò il Re.

- Faccia Vostra Maestà; il gattino non ha prezzo.

Il Re gli diede una moneta d'oro.

Il figurinaio s'attendeva di piùe intascò la moneta dimalumore.

- Non sei contento? Eccotene un'altra.

- Gliene dia treMaestà.

Il Reper non far dispiacere alla figliuoladiede alfigurinaio altre due monete d'oro.

- Dio t'aiuti!

La Reginotta portò il gattino in camerae si divertivatutto il giorno a fargli scrollare la testa.

- Gattinomi vuoi bene?

E il gattino rispondeva di sì.

- Gattinovuoi la gattina?

E il gattino rispondeva di sì.

- Gattinoci sposiamo?

E il gattino rispondeva di sì.

Accadde che in quel tempo la Reginotta fu richiesta da unReuccio. Il Re se ne rallegrò; era un buon partito.

Ma eccoa mezzanottesi sentì un grido lamentoso:

- Meo! Meo! Meo

- La Reginotta si svegliò:

- Che. haigattino?

- Meo! Meo! Meo!

- Hai forse famegattino?

- Meo! Meo! Meo!

Non si chetava. Si svegliò anche il Re.

- Cacciate via questo gatto; non mi lascia dormire.

- È il gattino di gesso.

Sua Maestà rimase.

- Il gattino di gesso?

E andò a vedere.

- Meo! Meo! Meo!

- Maestàil gattino vuol qualche cosa; io non so capire ilsuo linguaggio.

- Vuoi della trippa? Vuoi del polmone?

- Meo! Meo! Meo!

Neppure il Re capiva. All'ultimostizzitoafferrò unbastone per farlo in pezzi:

- Te lo do io il meomeo!

La Reginotta gli trattenne il braccio.

- Chiamiamo il figurinaio. Lui che l'ha fattoforse lointende.

Fino all'alba però il gattino continuò a lamentarsi:

- Meo! Meo! Meo!

Il figurinaio non fu potuto trovare; era andato in un'altracittà.

La notte seguentea mezzanotte appuntoil gattinoricomincia.

Il Re uscì fuori dei gangheri; corse in camera dellaReginottaafferrò il gattinoaperse la finestra e lo buttò nella via.

La Reginotta si mise a piangere:

- Povero gattino mio!

Di lì a pochi minutidietro l'impòsta si sente:

- Meo! Meo! Meo!

E un zampino picchiava ai vetri e grattava con le ugne.

La Reginotta aperse e trovò il gattino di gesso suldavanzale; crollava la testa e pareva dicesse: Grazie! grazie!

- Sta' zittogattino; se noil Re ti fa in pezzi.

- Meo! Meo!

- Gattinomi vuoi bene?

E il gattino rispondeva di sì.

- Gattinovuoi la gattina?

E il gattino rispondeva di sì.

- Gattinoci sposiamo?

- Meo! Meo! Meo!

E per quella notte non gridò più.

- Dunque vuol sposarmi lui! - disse la Reginotta. - Qui cideve essere un incanto. Gattini di gesso e che gridino non se n'è mai vistifinora.

Quando fu giornoandò dal padre:

- Maestàil mio matrimonio col Reuccio non può andare. Mivuole il gattinoe il gattino mi avrà.

Il Re la credette impazzita. La Reginottasenza scomporsigli spiegò la cosa:

- Maestàqui c'è un incanto.

Chiamarono un Mago.

- È proprio così. Quel gattino è un Reuccio. Se l'incantonon vien disfattola Reginotta è perduta.

Figuriamoci la costernazione del Re e di tutta la corte!

- Come disfarlo?!

- Bisogna recuperare le tre monete d'oro date da vostraMaestà al figurinaio.

Dove andare a pescarle? Colui doveva averle già spese. Chisa per che mani passavano in quel momento. E poicome riconoscerle fra le altremonete d'oro fatte con l'istesso conio?

- Le riconoscerà il gattino.

Il Re fece un bando:

- Chi possiede monete d'orodeve trovarsi in tal giorno neltal posto con le monete in tasca; pena la vita.

Quel giornonel posto indicatosi vide più di un centinaiodi persone che si guardavano in faccia sospettosetenendo le mani in tasca.Venne la Reginotta col gattino in braccio e cominciò a passeggiare in mezzo aloro. Il gattino scrollava il capoma non dava nessun indizio; avrebbe dovutogridare: Meo! Nessuno di quella gente possedeva dunque le monete cercate.

La Reginotta disse:

- Maestàvo' andare attorno pel mondo. Mi vesto da uomo efingo di essere un figurinaio. Il cuore mi dice che troverò le monete. Se nonfaccio cosìsono perduta.

Il Re acconsentì. La Reginotta si fece cucire un vestito dauomosi tagliò i capelliprese il gattinoe di notteper non esserericonosciutapartì.

- Ohil bel gattino! Chi mi compra il gattino che miagola!

- Quanto ne chiedete?

- Una moneta d'oro.

- Non vale due soldi.

Andava di città in cittàdi paesetto in paesettodivillaggio in villaggio:

- Ohil bel gattino! Ohil bel gattino che miagola!

Parecchie persone avrebbero voluto comprarloma sentendoquel prezzo d'una moneta d'orotutte rispondevano a un modo:

- Non vale due soldi.

Camminacamminauna volta fu sorpresa dalla notte in unacampagna. Vide una casetta di contadini e picchiò:

- Buona gentedatemi alloggio.

- Chi siete?

- Un figurinaio.

Le apersero e la fecero entrare. Erano due vecchimarito emoglie.

- Non ricoveriamo nessuno. Perché siete un figurinaiofacciamo una eccezione per voi. Il nostro figliuolo fa lo stesso mestiere. Ètant'anni che non lo vediamo; non sappiamo se è vivo o morto. Questo è il suoletto; dormite lì. Ci parrà che voi siate quel caro figliuolo.

A mezzanotte appuntoecco il gattino:

- Meo! Meo! Meo!

- Buona gentevoi avete una moneta d'oro.

- Ah! Tu sei un ladro!

Il vecchio afferrò la ronca e voleva ammazzarla.

- Non sono un ladro! Per quella moneta ve ne do dieci!Sentite.

E raccontò la sua storia.

I due vecchi ebbero pietà di lei. Infatti avevano davverouna moneta d'oro; gliel'avea mandata il loro figliuolo. Presero in cambio ledieci monete e le diedero quella.

Il gattino crollava il capo e gridava: Meo! Meo! Pareva chegongolasse di allegrezza.

Si sparse la voce che c'era un figurina!oil quale davadieci monete d'oro contro una. La gente le andava incontro con le monete in manoper fare quel buon guadagno. Ma il gattino stava zitto.

Camminacamminala Reginotta arrivò un giorno davantiun'osteria. Parecchi avventori giocavano a un tavolino. Si fermò per prendereun boccone e si mise a guardare.

Tutt'aun trattoecco il gattino:

- Meo! Meo! Meol

- Buona gentevoi avete una moneta d'oro. Se me la datevene do dieci e d'oro anch'esse.

- Fa' vedere

La Reginotta cavò fuori le monete. Quei mascalzoni le sigittarono addossogliele fanno cascare per terrasi azzuffanole ghermisconoe fuggono via.

Tutt'a un trattoecco il gattino:

- Meo! Meo! Meo!

- Gattinoche vuoi dire?

- Meo! Meo! Meo!

Guardò attornoper terra. Sotto un piede del tavolino c'erauna moneta d'oroproprio quella che lei cercava. Nella zuffa era sfuggita dimano ai suo possessore e nessuno l'aveva vista. La Reginotta la raccolselainvoltò insieme con l'altrae riprese il viaggio.

Camminacamminacamminagiunse in un luogo solitariofrarupi alte fino alle nuvole. Non si scorgeva anima viva.

Vide una grotta con una porta; si fece coraggio e picchiò:

- Buona genteaprite; ho smarrita la strada.

Non rispondeva nessuno.

- Buona genteaprite; ho smarrita la strada.

Comparvero due visacci barbuti:

- Mal per te! Chi sei? Che vieni a fare in queste parti?

- Sono un figurinaio. Vendo questo gattino.

- Quanto ne chiedi?

- Una moneta d'oro.

- Noi lo prendiamo per nulla.

E volevano strapparglielo. La povera Reginotta era capitatain un covo di ladri. Sentendo il diverbion'erano usciti fuori una dozzinaminacciosicon i pugnali in mano. La Reginotta si vide perduta:

- Non mi fate male; ve lo do!

- Tu resterai con noi; farai da servo.

Con quella gentaccia non c'era da rispondere. Per nonsepararsi dai gattinola Reginotta disse:

- Farò da servo.

La sera i ladri andavano via e lasciavano la Reginotta chiusacol catenaccio dentro la grotta.

- Ahgattino mio! Che mala sorte c'è toccata!

- Il gattino non diceva nulla.

Sul fardell'albai ladri tornavano carichi di preda;argentooropietre preziose. Eil capo faceva le parti.

- A te questo! A te quello! A te questa monetaperché cihai preparato un buon desinare!

Ma non era la moneta che la Reginotta cercava. Infatti ilgattino stava zitto.

- Ahgattino mio! Che mala sorte c'è toccata!

Intanto alla Reginotta erano cresciuti i capellie nonsapeva più come nasconderli. Il capo dei ladri se n'accorse:

- Chi sei? Tu sei una donna!

La povera Reginotta si senti morire; e piangendodisse:

- Sono la figlia del Re.

- Allora ti prendo per moglie. Sono Re anch'io; Re dei ladri!Ci sposeremo domani. Giusto la notte che viene andiamo a rubare in casa del Re.Ruberemo la corona e il manto reale.

La sera i ladri andarono via e lasciarono la Reginotta chiusacol catenaccio dentro la grotta.

- Ahgattino mio! Che mala sorte c'è toccata!

E i suoi occhi eran due fiumi di lagrime. Il gattinozitto.

Sul far dell'albai ladri tornarono carichi di preda;argentooropietre preziosee la corona e il manto reale.

A te questo! A te quello! A te questa monetaperché ci haipreparato un buon desinare!

- Tutt'a un trattoecco il gattino:

- Meo! Meo! Meo!

I ladri si spaventarono. La Reginotta non gli aveva mai dettoche il gattino di gesso miagolava.

- Tradimento! Tradimento!

E sfoderarono i pugnali. Si sentì un botto. Il gattino digesso era crepatofacendo schizzare i pezzi da tutte le partie ne era uscitofuori un bel giovanearmato di tutto puntoche cominciò a menar colpi dispada a dritta e a manca. In pochi minutitutti i ladri giacevano morti perterrafra pozze di sangue.

La Reginotta rimaneva in un cantoatterrita. Non osavaaccostarsi anche perché vedeva che il Reuccio aveva tuttavia gli orecchiibaffi e la coda di gatto; provava paura.

E la paura si accrebbe quando invece di sentirlo parlareloudì miagolare:

- Meo! Meo!

- Reuccioche volete dirmi?

- Meo! Meo!

Dunque rimaneva sempre gattoquantunque con la figurad'uomo? Dallo sbalordimentola Reginotta gli disse:

- Ahgattino mioche disgrazia!

Doveva dirgli questo perché l'incanto cessasse.

Gli cascarono gli orecchii baffi e la codae il Reuccioparlò:

- GrazieReginotta. Quanto ho sofferto! Caddi in mano d'unavecchia Stregona; voleva essere sposata; e perché rifiutai mi gittòquell'incanto. Questi ladri sono i suoi figli; ora viene a cercarli. La concioio!

- Andiamo via; sarà meglio.

- Se non è morta coleinon possiamo uscire di qui.

Infatti non trovavano la porta. Gira di quagira di là perquella sfilata di grottenon un buco nei muri per cui potesse passare untopolino. In altoè veroc'erano grandi buche che davano luce; ma comearrampicarsi fin lassù? Bisognava avere le ali.

Il giorno seguenteda una di quelle bucheecco un gufo chevola e rivola attornostridendo forte.

- Gufaccioche cerchi qui?

- Datemi uno di quei morti. Che ve ne fate?

- Prendilo pure.

Il gufo afferrò un cadavere con gli artiglie lo portòvia.

- Era forse la Strega! - disse il Reuccio. - Se tornalaconcio io!

Poco dopoecco una cagnamagra e pelosache si avanza dalfondo di una grotta a passi lentiuggiolando:

- Cagnacciache cerchi qui?

- Datemi uno di quei morti. Che ve ne fate?

- Ah! Sei tuStregona!

E il Reuccio le assestò un colpoma non la colse. La cagnasparì.

- Era lei! Se tornala conto io!

Poco dopoecco un sorcio con una coda lunga e spelata.

- Sorciaccioche cerchi qui?

- Datemi uno di quei morti. Che ve ne fate?

- Prendilo pure.

Il sorcio afferrò coi denti la punta del vestito di uno diquei cadaveri e cominciò a trascinarlo.

Il Reuccio lo agguanta per la coda con una manoe cava laspada con l'altra. Assesta il colpoma coglie la coda che gli rimane in pugnodivincolandosi. Sorcio e cadaverespariti.

- Non vuol dire! Bruciamo questa coda!

Presero molta legna e accesero un bel fuoco; nel meglio dellavampatavi buttarono la coda.

Di fuorisi sentivano gli urli della Strega:

- Ahi! Non mi fate bruciare! Vi apro la porta! Ahi! Ahi!

La coda guizzavasi dibatteva fra le fiamme. Il Reuccioperpaura che scappassela tenne ferma con la punta della spadafinché non siudì più nessun grido o lamento della Strega.

Il fuoco si spensee la porta si aperse.

L'incanto era disfatto.

Reuccio e Reginotta tornarono insieme al palazzo del Re efurono accolti con grandi feste. Mandarono subito a prendere il tesoro dei ladrie lo distribuirono alla povera gente. Il giorno delle loro nozze fu baldoria intutto il regno.

 

Stretta la vialarga la foglia;

Ne dica un'altrachi n'ha la voglia.

 

 

 

Il mugnaio

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta un mugnaio che aveva due belle figliuole. Auna avea dato nome Rotaall'altra Tramoggia.

La gente che andava a macinarevedendo le due ragazzedomandava:

- Comparequando maritate queste figliuole?

- Quando ci sarà chi le vuole.

- E che dote gli date?

- Dote niente. Rota la regaloTramoggia la do per nulla.

- Furbo sietemugnaio!

All'albase non c'erano ancora avventoriil mugnaioimboccava una grossa conchiglia marinae si metteva prima a sonare e poi agridare:

 

- Púuh! Púuh! Púuh!

Vienivieni a macinare!

Nel mulino non c'è da fare.

 

Púuh! Púuh! Púuh!

Vienivieni al mio mulino

Chi vien primo ha il contentino.

Púuh! Púuh! Púuh!

 

Una mattina arrivò primo un garzone del Re con una mulacarica di grano. Terminato di macinareil garzone non se n'andava:

- Che attendi?

- Il Re vuole il contentino.

- Portagli questa qui.

E gli diè Rotala figliuola maggiore.

Il Re gliela rimandò:

- Contentino che mangia pane Sua Maestà non ne vuole.

- Portagli questo qui.

Gli diè un corno di bue.

Il Re si sentì offesoe se la legò al dito.

Un altro giornoil mugnaio s'era messo di nuovo a sonare e agridare:

 

- Púuh! Púuh" Púuh!

Vienivieni a macinare!

Nel mulino non c'è da fare.

 

Púuh! Púuh! Púuh!

Vienivieni al mio mulino

Chi vien primo ha il contentino.

Púiuh! Púuh! Púiuh!

 

Arrivò primo il solito garzone del Re con due mule carichedi grano. Terminato di macinareil garzone non se n'andava.

- Che attendi?

- Il Re vuole il contentino.

- Portagli questa qui.

E gli diè Tramoggiala figliuola minore.

Il Re gliela rimandò:

- Contentino che mangia pane Sua Maestà non ne vuole.

- Portagli questo qui.

Gli diè un altro corno di bue.

Il Realla nuova offesapigliò i cocci e mandò adarrestare il mugnaio.

- Che intendi con questi corni per contentino?

- Intendo i corni dell'abbondanza. Se Vostra Maestà non livuoleson pronto a riprenderli.

- Riprendili pure.

Il Renon trovando da ridirefece rilasciare il mugnaio.

Per la via gli domandavano:

- Di chi sono cotesti cornimugnaio?

- Sono miei. Uno lo regalol'altro lo do per nulla.

E se ne tornò al mulino coi corni sotto il braccio.

La gente che andava a macinarevedendo le ragazzedomandava:

- Comparequando le maritate queste figliuole?

- Quando ci sarà chi le vuole.

- E che dote gli date?

- Quei due corni; uno a Rotal'altro a Tramoggia.

- Furbo sietemugnaio! I corni vanno a paio.

- Di corni come questicon uno ce n'è d'avanzo. Chi non locredesuo danno.

Il Re aveva ripensato la risposta del mugnaio: «Intendo icorni dell'abbondanza»; e s'era pentito di averglieli lasciati riprendere.Mandò il garzone:

- Sua Maestà rivuole i contentini.

- Gli ho dati in dote alle figliuole. Chi vuol possedere unodi quei cornidee prima sposare una di esse.

Il garzone riferì la risposta. Il Re ci ripensò su:

- Se fosse davvero il corno dell'abbondanza?

Rimandò il garzone:

- Avanti di sposareSua Maestà vuole accertarsi che ilvostro corno è davvero quello dell'abbondanza.

Il mugnaio rispose:

- Chi non lo credesuo danno.

Il Re si persuase che il mugnaio diceva il vero. Anche per unReche può avere quattrini quanti ne vuoleil corno dell'abbondanza nonsarebbe stato cattivo. Sposare però una figliuola di mugnaiotutta infarinataSua Maestà non se la sentiva. Giorno e notte intanto ripensava a quel corno.Dormendolo sognava. Gli pareva di vederne uscire ogni ben di Dio. Bastavadire: Cornodammi questo! Cornodammi quello! Il corno si trovava pronto aogni richiesta. Era una bellezza.

- Se accadesse come nel sogno!

Il Re ormai aveva fitto il chiodo lì; e radunò il Consigliodella Corona.

- Voglio sposare una delle figlie del mugnaio!

- Maestàsangue di Re richiede sangue di Re!

- Quando avrò in mano il corno dell'abbondanzaso io comefare.

I Ministri chinarono il capo. E uno di loro dovette andaredal mugnaio in nome di Sua Maestà:

- MugnaioSua Maestà vuole una delle tue figliuole.

- Rota la regaloTramoggia la do per nulla. E quei cornisono la dote.

- Sua Maestà sceglie Rota.

Si sposarono. La stessa sera delle nozze il Re disse a Rota:

- Vieni a vedere la tua camera.

Le fece scendere scale dietro scaleuna più buiadell'altrae quando furono all'uscio di un sotterraneodove non penetrava unfil di luceve la spinse dentro e messe tanto di catenaccio.

- AhMaestàche tradimento!

Il Re tornò suprese il corno per la punta e ordinò:

- Perle e diamanti!

E tosto uscì dall'altra parte un mucchio di diamanti e diperle.

La mattina venne il mugnaio per vedere la sua figliuola:

- Torna più tarditua figlia dorme.

Tornò più tardi:

- Torna domanitua figlia è a pranzo.

Venne il giorno seguente:

- Tua figlia è morta e seppellita. Fu Regina un giorno solo!

Il povero mugnaio andò via piangendo.

Il Re pensò:

- Se possedessi l'altro corno dell'abbondanzasarebbemeglio.

E mandò dal mugnaio:

- Sua Maestà vuole sposare l'altra sorella.

- Rota fu regalataTramoggia la do per nulla. Quel corno èla sua dote.

Il Re e Tramoggia si sposarono. La stessa sera delle nozzeegli le disse:

- Vieni a vedere la tua camera.

Le fece scendere scale dietro scaleuna più buiadell'altrae quando furono all'uscio di un sotterraneodove non penetrava unfil di luceve la spinse dentro e messe tanto di catenaccio.

- AhMaestàche tradimento!

Il Re tornò suprese l'altro corno per la punta e ordinò:

- Oro e argento!

E tosto uscì dall'altra parte un mucchio d'argento e d'oro.

La mattina venne il mugnaio per vedere la sua figliuola:

- Tua figlia è morta e seppellita. Fu Regina una notte sola.

Il povero mugnaio andò via piangendo.

Un giornovedendo che non c'era avventoriimboccòalsolitola grossa conchiglia e si mise prima a sonare poi a gridare:

 

- Púuh! Púuh! Púuh!

Vienivieni a macinare!

Nel mulino non c'è da fare.

 

Púuh! Púuh! Púuh!

Vienivieni al mio mulino

Chi vien primo ha il contentino.

Púuh! Púuh! Púuh!

 

Arrivò primo il garzone del Recon una mula carica digrano. Terminato di macinareil garzone non se n'andava:

- Che attendi?

- Il Re vuole il contentino.

- Portagli questo.

E gli diè uno stivale vecchiorattoppato.

Il Re pensò:

- Anche questo stivale dee avere qualche virtù. Ma prima diprovarevoglio anche l'altro.

E appena intese dal balcone del palazzo reale il suono dellaconchiglia Púuh! Púuh! e la voce del mugnaio che gridava al solito: Vienivieni! spedì il garzone con una mula carica di grano. Terminato di macinareilgarzone non se n'andava:

- Che attendi?

- Il Re vuole il contentino.

- Portagli questo.

E gli diè uno stivale vecchio rattoppatocompagnoall'altro. Il Retutto contentosi chiuse in camera coi due corni di bue e idue stivali. Voleva far la prova se mai questi erano prodigiosi al pari diquelli. E cominciò dai corni. Li prese per le punte con le due mani e ordinò:

- Perle e diamanti! Argento e oro!

Ma i corni versavano e gli stivali ricevevano. E appena glistivali furono colmi fino al colloparvero impazziti. Il Re non sapeva comeripararsi dai calci che gli assestavano alla schienadi piatto e di punta. Eogni calciolasciava il segno!

Apre l'uscio es i mette a correreurlando; lui avanti e glistivali dietroassestandogli calci alla schiena di piatto e di punta. E ognicalcio lasciava il segno!

Corri di quacorri di lànon c'era verso di sfuggirli.Ministricortigianiguardie tentavano invano di afferrarli; ne toccavano ancheloro. All'ultimonel ruzzolare una scalail Re inciampò e cadde bocconiquant'era lungo. Gli stivali gli si posarono addosso e stettero fermi; ma loschiacciavano col loro peso.

- Chiamate il mugnaio! - urlava il Re.

Corse una guardiaa cavalloper fare più presto.

- Non posso venire. La rota non vala tramoggia è guastata.Se avessi qui le mie figliuole Rota e Tramoggiaverrei subito.

Il Reche con quel peso addosso si sentiva soffocaredisseai Ministri:

- Scendete nei sotterraneimettete fuori Rota e Tramoggia!Le ho rinchiuse lì ioe ne pago la pena. Fate presto!

Non aveva ancora terminato di parlareche gli stivalicaddero per terrauno di qua e uno di làaffatto vuoti.

Il Re si alzò tutto pesto e addoloratolamentandosi:

- Ahi! Ahi!

I Ministri tornarono su frettolosi:

- Maestà- dicono - il Re ci ha rinchiuse quie il Re cidee far uscire.

Non aveva faccia d'andare a presentarsi alle due sorelle; mavedendo che gli stivali si agitavanoquasi minacciando nuovi calcis'avviòlentamentereggendosi con le mani la schiena pesta e addoloratalamentandosi:

- Ahi! Ahi!

Il sotterraneo dov'era Rotadi affumicato e grumoso eradiventato bianchissimo; muri e pavimento tutti coperti di farina.

- EntrateMaestà; vi attendevo da un pezzo.

Tutt'a un trattoRota lo prende per la mano e si mette agirare torno torno come una vera rota di mulinosballottando il Re che urlavainvano: Ahi! Ahi! E si sentiva mancare il fiato. Giragiragiraall'ultimo losbatacchia fuori a gambe all'aria e si mette a sedere:

- Andate a chiamare mio padre.

Il sotterraneo dov'era Tramoggiadi affumicato e grumoso eradiventato giallo come l'oro; muri e pavimento tutti coperti di grano.

- EntrateMaestà; vi attendevo da un pezzo.

Il Remalconcioesitava; ma Tramoggia si fa avantiloprende per la mano e comincia ad agitarsicome una vera tramoggia di mulinodando scossoni al Re che urlava invano: Ahi! Ahi! All'ultimolo sbatacchiafuori a gambe in aria e si mette a sedere:

- Andate a chiamare mio padre.

Il mugnaio venne lemme lemmedinoccolato:

- Che comandaVostra Maestà?

- Porta via RotaTramoggiacornistivaliogni cosa!

- Se Vostra Maestà vuol vivere in pacele dirò quel chedee fare.

- Che debbo fare?

- Per un announ mese e un giornoio sarò Re e leimugnaio. In questo frattempole mie figliuole diventeranno Regine davvero.Vostra Maestàper gastigorimarrà a bocca asciutta; né moglie né dote.

Che poteva fare il Re con quel mugnaio indiavolato?

Piegò la testa. Gli diede il manto e la corona realeeindossò i panni di lui tutti sparsi di farina.

La gente avea ritegno di andare a macinare al mulino del Re.Invano egli si sfiatava a sonare la gran conchiglia marina e a gridare:

 

- Púuh! Púuh! Púu!

Vienivieni a macinare!

Nel mulino non c'è da fare.

 

Púuh! Púuh! Púuh!

Vienivieni al mio mulino

Chi vien primo ha il contentino.

Púuh! Púuh! Púuh!

 

La rota infradiciva inerte nell'acqua; la tramoggia se larodevano le tignolee il Re sbadigliava davanti la porta con le mani in manoaspettando gli avventori che non venivano mai. Per vivere pescava granchi eranocchi nel fosso. E se passava qualcunolo interrogava:

- Che nuove mi datecompare?

- Rota si è maritata col Reuccio di Spagna.

- Tanto megliocompare!

Ed eran passati sei mesi.

Il Re sbadigiiava davanti la porta del mulino con le mani inmanoaspettando gli avventori che non venivano mai. Per viverepescava granchie ranocchi nel fosso. Era diventato magro allampanato. Se passava qualcunolointerrogava:

- Che nuove mi datecompare?

- Tramoggia si è maritata col Reuccio di Portogallo.

- Tanto megliocompare!

Ed eran passati altri sei mesi.

Finalmente restavano pochi giorni perché il suo gastigoterminasse. Il mugnaio Re venne al mulino accompagnato dai Ministri e da tuttala corte.

- La rota è infradicita; la tramoggia è rosa dalle tignole;fatele rifare. Se nosiamo daccapo.

E bisognò farle rifare.

All'ultimo giornoil mugnaio Re venne al mulino accompagnatodal Ministri e da tutta la corte. Ma il povero Re che per un announ mese e ungiorno non avea mangiato altro che granchi e ranocchiera ridotto in fin divita.

- Ben mi sta! - disserivolto al mugnaio. - E giacché titrovi ReRe rimani.

Detto questomorì.

La gente fu contenta. In un announ mese e un giornoilmugnaio non gli aveva macinati peggio dell'altro.

 

Evviva Re mugnaio!

Chi ne vuole una sporta e chi uno staio.

 

 

 

L'ago

 

 

 

 

 

C'era una volta un sartoche campava la vita mettendo toppee rivoltando vestiti usati.

Nella sua botteguccia ci si vedeva appena; per ciò lavoravasempre davanti la portacon gli occhiali sul naso; etirando l'agocanterellava:

 

Il mal tempo dee passare

Il bel tempo dee venire.

Zun! Zun! Zun!

 

Aveva una figliuola bella quanto il solema senza bracciaed era la sua disperazione. Le vicine lo aiutavano: oggi unadomani un'altrasi prestavano a vestire la ragazzaa pettinarlaa lavarle la faccia; eglidoveva imboccarla. A ogni bocconebrontolava:

- Chi non ha braccianon dovrebbe aver bocca!

La ragazzainvece di arrabbiarsi per questo continuobrontolìosi metteva a ridere e rispondeva:

- Dovevate farmi le braccia e non la bocca. La colpa èvostra.

- Hai ragione.

E il vecchio riprendeva a lavorarecanticchiando:

 

Il mal tempo dee passare

Il bel tempo dee venire.

Zun! Zun! Zun!

 

Invece il cattivo tempo peggiorò: gli venne meno la vistagli occhiali non lo aiutarono più; e gli avventori vedendo quei puntacci daorboche facevano parere più brutte fin le toppenon ne vollero più saperedi lui e del suo lavoro.

- Figliuola miacome faremo?

- Faremo la volontà di Dio.

 

Il bel tempo dee venire.

 

Per abitudineogni mattina il sartoaperta la bottegucciasi metteva a sedere davanti la porta con le mani in manoaspettando gliavventori che non comparivanoe al suo solito canterellava.

Un giorno passa una signorache vicino a lui si china eraccatta da terra un ago lucente:

- Quest'ago è vostrobuon uomo.

- Grazie. Che debbo farne? A cucire non ci vedo più.

La ragazzasentendo parlares'era affacciata alla porta.

- Prendetelo voibella figliuola.

- Non ho bracciasignora mia.

- Ve l'appunto sul busto; è un buon ago.

Il vecchio disse:

- Biscotto a chi non ha denti. Così va il mondo!

- Allegrocompare!

 

Il mal tempo se n'è andato

Il bel tempo è già arrivato.

Zun! Zun! Zun!

 

La signoraridendoscantonò e sparì.

Poco dopoecco un avventore con in mano una giacca vecchiatutta strappi e buchi:

- Rattoppatemi questa qui. Vi pago avanti; ecco uno scudo.Verrò a riprenderla domani.

Il sartovedendosi in mano quello scudoche arrivava apropositonon ebbe animo di rispondergli: - A cucire non ci vedo più. - Rimaselì col naso all'ariastupito della buona fortuna.

Andò subito a fare un po' di spesae poi si mise a cuocerela minestrarimuginando le parole dello sconosciuto: Verrò a riprenderladomani.

- Figliuola miae come faremo domani?

- Da qui a domani c'è ventiquattr'ore.

Finito di desinarela ragazza guarda per caso la giacca edà un grido di sorpresa: la giacca era già bell'e rattoppatae così beneche pareva quasi nuova. In una manica c'era appuntato un ago.

- È l'ago della signora!

Infatti l'ago non era più al posto dove la signora lo avevamesso.

- Zittafigliuola; quest'ago è la nostra fortuna.

Il padrone della giacca venne a riprenderlae rimasecontentissimo del lavoro. Chiunque vedeva quella raccomodaturarestavameravigliato.

E gli avventori tornarono ad affluire alla botteguccla delsarto. Sul banco c'era sempre una montagna di vestiti vecchicosì stracciatiche neppure il cenciaiolo li avrebbe voluti. Il sarto se ne stava tutta lagiornata seduto davanti la porta con le mani in mano canterellando:

 

- Il mal tempo se n'è andato

Il bel tempo è già arrivato.

Zun! Zun! Zun!

 

- Sartoe il lavoro chi lo fa?

- Lo faccio io.

- Stando con le mani in mano?

- Stando con le mani in mano.

Verso sera gli avventori tornavano e trovavano tutto bell'eallestito. Le raccomodature erano fatte così beneche quei vestiti vecchiparevano quasi nuovi.

- Sartoe il lavoro chi l'ha fatto?

- L'ho fatto io.

- Stando con le mani in mano?

- Stando con le mani in mano.

Un giorno il Reucciopassando a cavallo insieme con unoscudiero davanti la bottega del sartovide la ragazza che stava a sedereaccanto al padree rimase incantato di quella bellezza.

- Ha un aspetto da Regina!

- Ma è senza bracciaReuccio!

- Peccato!

Ci ripensò tutta la nottee il giorno appresso vo!lerivederla. Passò a cavalloinsieme con lo scudieroe rimase più incantatodel giorno avanti.

- Ha un aspetto da Regina. Peccato non abbia le braccia!

Ci ripensò tutta la nottee il giorno appresso vo!lerivederla. Giunto davanti la bottegasentendo canterellare il sartofermò ilcavallo:

- Che canterellatebuon uomo?

 

- Il mal tempo se n'è andato

Il bel tempo è già arrivato.

Zun! Zun! Zun!

 

Il Reuccio intanto teneva fissi gli occhi su la ragazza. Ilsartoche non sapeva chi egli fosselo sgridò:

- Ehamico! Che guardate?

- Guardo vostra figliache è più bella del sole.

- Se fosse più bella del solerimarreste accecato.

- Ahi! Ahi!

Il Reuccio portò le mani agli occhi; a quelle parole delsarto gli occhi gli s'erano seccati.

Lo scudiero condusse per mano il Reuccio cieco a palazzoeraccontò quello ch'era accaduto.

Il Re e la Regina montarono in furore contro il sarto:

- Vecchio stregone! Arrestatelo e conducetelo qui.

Lo legarono peggio d'un ladro e lo condussero innanzi al Re.

- Maestàio non ci ho colpaI

- Vecchio stregone! O rendi la vista al Reuccioo ti foarrostire vivo vivo!

Il povero sartodallo spaventoera già mezzo morto.

- Maestàio non ci ho colpa!

- Ti do tre giorni di tempo.

E lo fece chiudere in una prigione dello stesso palazzoreale.

Ogni. mattinal il Re andava a trovarloe dallo sportellinodell'uscio gli diceva:

- O rendi la vista al Reuccioo ti fo arrostire vivo vivo.È passato un giorno.

- O rendi la vista al Reuccioo ti fo arrostire vivo vivo.Son passati due giorni.

Il povero sarto non rispondeva; si struggeva in lagrimepensando alla figliuola senza bracciadi cui non sapeva niente da più giornie che sarebbe rimasta sola al mondo in balìa della cattiva sorte:

- Figliuola mia sventurata!

E il Redallo sportellino dell'uscio:

- O rendi la vista al Reuccioo ti fo arrostire vivo vivo.Sono passati tre giorni.

- Maestànon ci ho colpa! GraziaMaestà! Almenoprima dimorirefatemi rivedere la figliuola!

La grazia gli fu concessa.

Il Re e la Reginache avevano sentito magnificare dalReuccio la grande bellezza di costeivollero vederla quand'ella venne a palazzoreale.

Appena entrata nel salonedov'essi si trovavano insieme colReuccio ciecoquestibattendo le mani dall'allegrezzasi mise a gridare:

- La vedo! La vedo! Accanto a lei c'è una signora.

Il Re e la Regina credettero che il Reuccio fosse ammattito.Dov'era quella signora?

- È lìaccanto a leie la tiene per la mano.

- Per la mano? Se non ha braccia!

- Io la vedo con le braccia; ma non vedo voialtri.

Il Re e la Reginaper accertarsi se il Reuccio la vedevadavverofacevano muovere la ragazzain punta di piedipel salone; e ilReuccio la seguiva con gli occhi inariditi:

- È lì... Ora si affaccia alla finestra... Ora fa così colcapo... Ora si siede per terra; e la signora che l'accompagna fa pure quel chefa lei.

Il Re e la Reginastupitinon sapevano che pensare di quelmiracolo.

- Chi èbella ragazzala signora invisibile che viaccompagna?

- Maestànon lo so; son venuta sola a palazzo... Ahi! Ahi!

La ragazza sentiva acuti dolori nel punto dove avrebberodovuto essere attaccate le braccia.

- Ahi! Ahi!

Ed ecco venirle fuori prima la punta delle ditapoi le manipoi i polsipoi gli avambraccipoi le braccia interebellissime e bianchecome l'alabastro.

Il Reucciourtando il Re e la Reginasi precipita verso laragazzale prende ansiosamente le mani e comincia a strofinarsele su gli occhi:

- Manine fatatesanatemi voi!

Ma strofinava inutilmente.

- Manine fatatesanatemi voi!

Ma strofinava inutilmente.

- Zitti - fece il Reuccio. - La signora parla.

Il Re e la Reginadopo tutto quello che avevano vistoeranoproprio atterriti di quella signora invisibile.

- Che dice?

 

- Maninamanina

Non è mano di Regina.

Per toccare e sanare

Di Regina diventare.

 

Era chiaro: se il Reuccio voleva ricuperare la vistadovevasposare quella ragazza.

La Regina si sdegnò:

- Sposare la figlia d'un sarto!

Ma il Reche voleva molto bene al figliuolonon se lo fecedire due volte.

- Siano mani di Reginotta; parola di Re!

E gli occhi del Reucciotoccati dalle mani della ragazzatornarono a un tratto quali erano una voltaanzi più vivaci e più splendenti.

Naturalmente il sarto fu cavato di prigionee sicominciarono subito i preparativi delle nozze del Reuccio.

La ragazzavestita con gli abiti da Reginottaparevadavvero un sole.

La Regina non sapeva darsene pacee le faceva ogni giornomille dispetti. La mattina stessa delle nozzeper avvilirla al cospetto ditutta la cortele disse:

- Reginottaho uno strappo nel manto reale; nessuno puòrammendarlo meglio di voi.

La ragazzasenza scomporsiandò di làprese l'ago datoledalla signora einginocchiatasicominciò umilmente il rammendo del mantodella Regina.

La Reginavedendola così rassegnatadiventò una vipera:

- Non sapete dare nemmeno un punto!

E le strappò di mano il manto reale.

- Infatti- rispose la ragazza - non ho mai dato un punto invita mia.

L'ago intanto era rimasto attaccato alla stoffae durante lacerimonia degli sponsali la Regina si sentiva cucirecucire tutti i panniaddossosenza sapersi spiegare che diamine di lavoro fosse quello. Era cosìravviluppatache non poteva muovere le gambe.

E l'ago cucivacucivacuciva; e quando non ebbe più nienteda cucire nei pannicominciò a cucire questi alle carni della Regina.

Figuratevi i suoi strilli! Tentava di strapparsi le vestii mala cucitura era così forteche ci voleva ben altro per disfarla.

E l'ago cucivacucivacuciva; e la Regina strillava comeuna pazzasentendosi trapassare le carni da quella punta aguzza che non ristavaun momento. Bracciaspallegambel'ago cuciva ogni cosacucivacucivacuciva; e gli strilli della Regina salivano al cielo!

Alla finenon potendone piùsi buttò al piedi dellaReginotta:

- Reginottaperdono! Salvatemi voi!

La Reginottache aveva già capito di esser protetta da unaFatapregò:

- Fata benignasalvatela voi!

Appena detto questol'ago cessò di cuciree tutte lecuciture si disfecero da sé.

 

Reuccio e Reginotta vissero felici e contenti

E noi siamo quisenz'ago né niente.

 

 

 

La padellina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta un contadino che aveva una figliuola. Egliandava a giornata; la figliuola filava stoppa o tesseva tela per conto dellevicine: così campavano la vita.

Avvenne una gran siccità: nei campi non nacque un filo dierba; e non ci fu più da lavorare per nessuno dei due. Avevano un gruzzolettomesso prudentemente da parte nel buon tempoe per parecchi mesi poterono tirareinnanzivivendo quasi a pane e acqua. Il padre sospirava pensando all'avvenire;ma la ragazzagioviale anche nella miseriacanticchiava da mattina a seracome quand'era al telaio e con la rocca al fianco e lo stomaco pieno. Il padrela rabbrontolava:

- Con che cuore tu canti? Ci rimane da mangiare appena peraltri due giorni!

- Quando sarò mortanon canterò più.

Mentre parlavanocomparve su la soglia una donna scarnaallampanatache pareva il ritratto della fame.

- Fate la caritàbuona gente!

- Siamo più miseri di voi - rispose il padre. - Rivolgetevialtrove.

La ragazza invece prese la pagnottellache doveva essere ilsuo desinare di quel giornoe la porse alla vecchia:

Mangiatela voi per me.

- Graziefigliuola.

Intascata la pagnottellala vecchina cavò di sotto loscialle unto e stracciato una padellina nuova di rame:

- Tienifigliuola; non ho altro; forse ti servirà.

E andò via.

La ragazza si rimise a canterellarepicchiando con le nocchedelle dita su la padellina che dava un bel suono; poiper chiassola posò sulfocolare spento eridendodisse al padre:

- Che volete? Una costoletta? Una frittata?

E non aveva ancora finito di parlareche una fiammata siaccesee la padellina cominciò a friggerespandendo attorno un odore cheavrebbe risuscitato un morto.

- Ohche miracolofigliuola mia! Siamo ricchi!

Nella padellina fumavano due costolette da bastare anche perquattro persone; e quando furono cotteil fuoco si spense da sé. Metà nemangiarono padre e figliametà ne spartirono tra le vicine più povere diloro. L'odore si sentiva per tutta la via.

D'allora in poia ogni mezzogiornola ragazza metteva lapadellina sul focolare spento e domandava al padre:

- Che volete? Una costoletta? Una frittata?

- Una frittata.

E poco dopo la frittata era bell'e cotta da poter bastarefino per otto persone. Parte ne mangiavano padre e figliaparte ne dividevanotra le vicine più povere di loro. L'odore si sentiva per tutta la via.

La cosa fece senso. Le stesse vicine che ricevevano lacaritàcominciarono a ciarlare:

- Come mai padre e figliacon quella miseriasenza guadagnoalcunose la scialavano a quel modo?

Le ciarle giunsero fino all'orecchio del Re. Giusto in queigiorni la Regina s'era ammalata con un'inappetenza che non le permetteva diprendere nessun ciboe i medici non sapevano come rimediarvi. La Regina avrebbevoluto qualcosa da ristorarla col solo odoree il cuoco si stillava il cervelloper contentarla. Ma davanti alle pietanze più squisitela Regina torceva ilcapo nauseata:

- Portatele via; mi si rivolta lo stomaco.

Il Reche aveva sentito parlare del buon odore dellepietanze di quei contadinidisse ai medici:

- Proviamo a far preparare il pranzo della Regina da costoro.Forseper la stranezzalo gradirà.

E mandò a chiamare la ragazza.

- Vuoi essere la cuoca della Regina?

- Come piace a Vostra Maestà.

- Vieni ad abitare nel palazzo reale.

- A un pattoMaestà. In cucinacon medovrà starcisoltanto mio padre.

- Soltanto tuo padre.

Giunta l'ora del desinarela ragazza si presentô allaRegina:

- Maestàche volete? Una costoletta? Una frittata?

- Una costoletta.

La ragazza mandò via di cucina tutte le persone ch'erano aservizio del Redal cuoco allo sguatterosi chiuse a chiave di dentro insiemecol padree mise la padellina sul focolare spento:

- Padellinauna costoletta!

La Regina all'odore della costoletta fumante nel piattosisentì ristorare:

- Benedette le tue maniragazza mia!

Mangiò con grand'appetitocome da più settimane nonfacevae in segno della sua gratitudine regalò alla ragazza una collana dibrillanti.

- Maestàquesta è collana da Reginanon da contadina miapari.

- Sei Regina anche teRegina di tutte le cuoche.

E gliela mise al collo con le proprie mani.

Ogni giornoa ogni desinare era un nuovo regalo; ora unaspilla con un magnifico smeraldoora buccole di perle grosse come ovaora unbraccialetto finamente cesellato e tempestato di rubini.

- Maestàè ornamento da Reginanon da contadina mia pari.

- Sei Regina anche teRegina di tutte le cuoche.

In corte non si ragionava che di quei mirabili desinari; e imedici erano stupiti che il grave male della Regina fosse già guarito colsemplice rimedio o d'una costoletta o d'una frittatagiacché la padellina nondava altro.

Un giorno il Reuccio entrò in camera della Regina che ellaaveva appena terminato di mangiare l'ultimo boccone.

- Che buon odoreMaestà.

- Odor di costolettaReuccio.

Un altro giorno:

- Che buon odoreMaestà!

- Odor di frittataReuccio.

- Sempre le stesse coseMaestà?

- Sempre; ma ogni volta hanno un sapore diverso.

- E come fa la vostra cuoca?

- Se lo sa lei.

Il Reuccio entrò in grande curiositàe volle andare incucina

per vederla lavorare.

- In cucina dobbiamo starci soltanto mio padre e io.

- Io sono il Reuccio!

- Reuccio o non Rcuccioho la parola di Sua Maestà; incucina dobbiamo starci soltanto mio padre e io.

Il Reuccioindispettitoafferrò la padellina ch'era lìtutta affumicata e gliela strofinò nella facciaannerendogliela come quellad'una mora.

Ma da quel giorno in poila padellina non frisse più; e ilnero del fumo rimase su la faccia della ragazzaquasi fosse stato il colornaturale della pelle; né acqua né sapone riuscirono mai a mandarlo via.

La Reginanon potendo più mangiare la solita costoletta ola solita frittatatornò a peggiorare e si ridusse in fin di vita. Il Rechel'amava più dei propri occhimontò in furoree per poco non fece tagliar latesta al Reuccio. Alle preghiere della Reginasi contentò di scacciarlo dalregno coi soli vestiti che si trovava indosso.

La ragazzanon avendo più nulla da fare nel palazzo realetornò a casa col padree tutti e due ripresero la vita consueta: egli andava agiornataella filava stoppa o tesseva tela per conto delle vicine; ma noncantava piùné si faceva più vedere su la portadi casa per via dellafaccia impiastricciata di nero. Aveva vergognatemeva d'esser schernitaespesso esclamava:

- Maledetta la padellina e chi me la diè!

- Non dire cosìnon dire così! - sentì rispondersi ungiorno.

A quella voce fiocafiocache veniva dal fondo dellastanzala ragazza si voltòma non vide nessuno; epiù arrabbiataripeté:

- Maledetta la padellina e chi me la diè!

- Non dire cosìnon dire così!

- Chi siete che parlate? Mi fate paura.

La voce fioca fioca rispose per l'ultima voltalentissimamente:

- Non dire così!

La sera tornato il padre dal lavoroella gli raccontòtutto:

- Ho paura di restar sola; fatemi compagnia.

Per quel giorno il padre non andò a lavorare; e poiché laragazzadalla paura di quella voce fioca fiocanon aveva il coraggio diripetere la sua maledizioneil padreche voleva accertarsi se mai non fossestato effetto della fantasia alterata della figliuolaesclamò lui:

- Maledetta la padellina e chi ce la diè!

- Ahi!

In risposta aveva ricevuto uno schiaffo.

Disse il padre:

- Andiamo via di questa casaanzi di questa città. Chi sache guai ci accadrannose restiamo ancora qui!

Fanno per aprire la porta e non possono smuovere il palettodella toppa; fanno per aprire la finestra e chiamare aiutoe il lucchetto dellafinestra è più duro del paletto.

- Ahpoverini a noi! Come faremo?

Quel giornoper casoavevano da mangiare. Il giorno dopoperò cominciarono a provar la fame. Erano come murati in casa e non potevanonemmeno gridare al soccorso!

- Ahpoverini a noi! Morremo di fame.

La padellina stava appesa a un chiodopulita e luccicantequal era rimasta dal momento che il Reuccio l'aveva strofinata su la facciadella ragazza. La ragazza la guardava in cagnescocon gli occhi pieni dilagrimee si sentiva gorgogliare in gola: Maledetta la padellina e chi me ladiè!

La vide smuoversi e la sentì risonare come quando la primavolta ella vi aveva picchiato su con le nocche delle dita. La staccò dalchiodola posò sul focolare spentoe disse al padre:

- Che volete? Una costoletta? Una frittata?

- Non avea finito di parlareche una fiammata si acceseela padellina cominciò a friggerespandendo attorno un odore che avrebberisuscitato un morto. Padre e figliaa una voceesclamarono:

- Benedetta la padellina e chi ce la diè!

Corsero alla portama il paletto non si poteva smuovere;corsero alla finestrama il lucchetto era più duro del paletto. Intanto ilbuon odore delle pietanze si sentiva dalla via.

Il Resaputa la cosamandò subito per la ragazza.

- Apritevi vuole Sua Maestà.

- Non possiamo aprire; aprite voi.

Il Re manda i magnani per forzare la serratura o sfondare laporta; i magnani tentanoritentanoma inutilmente. Manda allora i muratori perfare un gran buco nel muro; ma i picconi dei muratori si spuntanoil muro parfatto di bronzo.

La Regina agonizzava. Il Re avrebbe dato la metà del regnopur di vederla risanare con le costolette e le frittate della padellinamiracolosa. Che fare con quella serraturacon quella porta e con quel muro cheresistevano a tutto?

Un giorno finalmente la Regina chiude gli occhi e rimaneimmobile: la credono mortae si leva un gran pianto per tutto il palazzo reale.Il Redalla disperazione e dal doloresi strappava i capelli.

A un tratto la Regina riapre gli occhi e dice:

- Ho fatto un sogno. Mi pareva d'essere stata portata dietrola porta di quella casae che il solo odore delle pietanze m'avesse risanata.Maestàvoglio provare se il sogno è veritiero.

I servitori presero il letto come una barella e portarono laRegina dietro la porta che non poteva aprirsi.

- Regina delle cuochefammi sentire almeno l'odore delle tuepietanzeRegina!

Non rispose nessunoe non si sentì odore di sorta.

- Regina delle cuochefammi sentire almeno l'odore delle tuepietanzeRegina!

Non rispose nessunoe non si sentì alcun odore.

Il Requasi piangendogridò:

- Regina delle cuochese fai sentire l'odore delle tuepietanzesarai Regina per davvero.

- Maestà - disse Un Ministro - che cosa vi è scappato dibocca! Parola di Re non va indietro.

- E non andrà! Partano cento corrieri e vadano in cerca delReuccio.

- E se il Reuccio non vorrà sposarla?

- L'adotterò per figliuolae sarà Reginotta.

Si sentì subito un odore delizioso che si sparse per tuttala via. La Regina annusava e rinasceva da morte a vita. Annusavano il ReiMinistriil séguito di cortela folla pigiata nella via attorno al lettodella Reginae tutti si sentivano riempire lo stomacoquasi avessero desinatolautamente.

Per parecchie settimanenessuno pensò a fare spesa e adaccendere un fornello. Aspettavano che la Regina fosse portata col letto dietrola porta di quella casae appena l'odore delle pietanze cominciava a spandersisi vedevano mille e mille nasi per aria annusare avidamentee da lì a pocoscoppiavano dei grand'Ah! di soddisfazionecome dopo un desinarecopioso.

I corrieri reali eran partiti subito alla ricerca delReuccioma le settimane passavanonessuno di essi tornavae l'odore intantoveniva meno di giorno in giorno con gran terrore del Re e della Regina che nonera ancora ristabilita in salute. La gentepreso gusto a quel genere didesinare così buono e che non costava nientemalediva quegli stupidi corrieriincapaci di trovare il Reuccio.

Una mattinainaspettatamenteecco uno dei corrieri e poi unaltro e poi un altroscalmanatisfiniti.

- Avete trovato il Reuccio?

-cNon l'abbiamo trovato.

Due giorni dopoecco l'ultimo più scalmanato e più sfinitodegli altri.

- Hai trovato il Reuccio?

- Noma ho trovato chi sa dov'è. È un pastore che guardale pecore laggiù laggiù. Disse: Indovinami prima quest'indovinello e poisaprai dov'è il Reuccio. Non l'ho indovinato e non me l'ha detto.

Che indovinello?

 

- Non ero nato per fare il pastore

Eppur dovevo smugnere e tosare.

 

- Bestia! È lui! - gridò il Ministro che di smugnere e ditosare se n'intendeva assai. - Conducimi dov'egli si trova.

E partì insieme col corriere.

Infatti era proprio lui. Ne aveva viste e patite tantefinoa essersi ridotto a fare il guardiano di pecoreche non gli pareva vero tornareReuccioanche a patto di sposare la Regina delle cuoche.

Appena arrivatoandò a picchiare alla porta che non sipoteva aprire.

- Sono il Reuccio.

Invece della porta si aperse la finestrae comparve laragazza con la faccia nera e la padellina in mano; la padellina era affumicata.

- Questa è la mia dote.

 

Chi mi vuole per mogliera

Dee farsi la faccia nera.

E se nera non se la fa

D'onde viene se n'andrà.

 

Il Reuccio esitava; gli sapeva male doversi impiastricciaredi fumo al cospetto di tanta gente radunatasi alla notizia dell'arrivo di lui.Poi si strinse nelle spalleprese la padellina echiusi gli occhise lastrofinò su la facciatingendosi peggio di un moro. E mentre la sua annerivaquella della ragazza ridiventava bianca come la cera.

- Ora potete entrare.

Infatti la porta si spalancò da sée il Reuccio trovò sula soglia la ragazza vestita come una Reginacon la collanalo spillonegliorecchini e i braccialetti regalatile quando faceva la cuoca; sembrava unaRegina natatanto era bella e dignitosa.

Il popolo applaudiva:

- Viva la Reginotta! Viva il Reuccio!

E nello stesso tempo ridevavedendo costui tuttoimpiastricciato a quel modo; ma rise per poco. La ragazza prese il grembiulelopassò su la faccia del Reuccioe in men che non si dice gliela ripulì.

Prima che si sposasserola Regina era già bell'e guarita.Le feste delle nozze durarono un mese intero.

- E della padellina che ne faremo? - disse il Reuccio.

- Facciasi un bando: Chi ha una padellinavenga a sfregarlacon questa; friggerà da sé egualmente.

Figuriamoci che cuccagna! Pareva tutti i giorni un festino.

La gente si dava bel tempoe all'ora del desinare mettevanole padelline sui fornelli spenti:

- Padellinauna costoletta! Padellinauna frittata!

E tutte le padelline friggevano; la gente mangiava a ufo.Frittate e costolette avevano ogni volta un sapore diverso. Mapurtroppochinon lavora non è mai contento. Cominciarono a brontolare.

- Sempre costolette! Sempre frittate!

La Fata che aveva regalato la padellina portentosa allaragazzain premio della carità da lei fatta; si sdegnò diquell'ingratitudinee un bel giornoanzi un brutto giornoprese di nuovo lesembianze di vecchietta e si presentò alla Reginotta.

- Sono quella della padellina. Brontolano: Sempre costolette!Sempre frittate! Ecco qui un'altra padellinache frigge diversamente.Strofinino le loro con questa e vedranno che miracolo.

Corsero tuttistrofinaronoe si trovarono canzonati.

Le padelline friggevanosìma le pietanze erano più amaredel velenoe non si potevano mangiare. E per colpa di costoro non c'è più almondo padelline che friggano da sé.

 

 

 

L'asino del gessaio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta un gessaio che aveva parecchi asini magri esbilenchisui quali caricava i sacchi del gesso da portare a questo e a quello;uno poiil peggio di tuttispelatocon un moncherino di codapieno diguidaleschipareva si reggesse su le gambe proprio per miracolo.

Accadde che il Re doveva spedire una staffetta a un Re suovicinoe voleva la risposta dalla mattina alla sera.

I corrieri reali dissero:

- Maestàè impossibile. Non c'è cavallo al mondo chepossa fare tanto cammino in una giornataneppure il vento.

Il Re mandò attorno un banditore:

- Chi reca la risposta dalla mattina alla sera avràtant'oroquanto può portarne il cavallo con cui ha fatto la corsa.

Si presentò soltanto il gessaio a cavalcioni dell'asinospelatopieno di guidaleschi e con la coda mozza.

- Maestàvado io.

- Con quest'asino?

- Con quest'asino.

- E se non porti la risposta dalla mattina alla sera?

- Mi farete tagliare la testa.

Il Re gli consegnò la letterae il gessaio partì.

Davanti il palazzo reale e per la via un gran folla sipigiava per vedere lo strano spettacolo. L'asino andava a passi di formicabalenando su le gambe scarnee con le orecchie ciondoloni. E la gente rideva.

- Gessaioarriverai fra un anno?

- Gessaioti pesava la testa sul collo?

Il gessaio li lasciava diree lasciò che l'asino andasse diquel passo fino alla porta della cittàsenza né gridargli un arri! né dargliun colpo di pungolo.

- Gessaioarriverai fra un anno?

- Gessaioti pesava la testa sul collo?

Passato l'arco della porta dove non c'era gente:

- Avantifocoso! Avantifocoso!

L'asino rizza le orecchieagita il moncherino della codaevia come un lampo.

Verso il tramontoil Re s'era affacciato a un balcone pervedere arrivare il gessaio:

- Se non arriva questa seragli faccio tagliare la testa.

Davanti il palazzo reale e per la via s'era radunata lastessa folla della mattinacuriosa di vedere come il gessaio se la sarebbecavata.

A un tratto: Largo! Largo! Ed ecco il gessaio a cavalcionidell'asino chea testa bassacon le orecchie ciondolonibalenava su le gambescarnee pareva sul punto di tirare l'ultimo fiato.

- Maestàecco la risposta.

Non c'era che dire; la lettera portava tanto di sigillo delRe ed era scritta tutta di suo pugno.

- Per l'orovieni domani.

- Come piace a Vostra Maestà.

E la gente:

- Bravogessaio! Evviva l'asino dai guidaleschi! Oradovresti fargli la coda d'orogessaio.

La mattina dopo egli si presentò con l'asino a palazzo.

- Maestàson venuto pel mio carico d'oro.

- Te ne do il doppio; dammi anche l'asino.

- Maestàla bestia fa comodo a me; non la vendo.

- Va bene - disse il Re impermalito. - Gli sia dato quel chegli spetta.

Il Ministro credeva che sarebbero bastate duetre verghetted'oro; pesavano un buon poco.

- Ce ne vuole delle altre.

Mettono sul basto un'altra vergapoi un'altrapoi un'altra;qualunque animale sarebbe rimasto schiacciato da quel gran peso. L'asinoinvecepareva avesse addosso fuscellini non verghe d'oro; più glienecaricavano e più arzillo diventava.

Il Ministro corse dal Re:

- Maestànon basteranno tutte le verghe d'oro che voipossedete.

Il Re volle vederequel portento coi propri occhi. L'asinoaveva su la schiena una montagnola e non pareva che fosse il fatto suo.

- Maestàce ne vuole ancora.

Aggiungono un'altra vergae poi un'altrae poi un'altra; mal'asinopiù gliene caricavanoe più arzillo diventava.

- È anche troppo! - disse il Re stizzito. - Va' via!

- Il bando prometteva: Avrà tant'oroquanto può portarneil cavallo con cui ha fatto la corsa.

- Diceva: cavallonon asino. Se ti do tutto questoèproprio per grazia· Va' via!

- Allora non ne voglio niente. Asino miorendi l'oro.

L'asino diè uno scossonee tutte le verghe caddero di qua edi là per terra. Il gessaio montò a cavalcioni su la sua bestia:

- Avantifocoso!

E l'asino via di corsacon le orecchie fitteagitando ilmoncherino della coda.

Li per lìil Re rimase sbalordito dell'arroganza delgessaio. Rinvenuto dallo sbalordimentomontò in furore:

- Né verghe d'oroné asino!

E mandò le guardie alle fornaci del gessoperché menasserol'animale alle stalle reali.

Le guardiearmate fino ai dentipartono subito e trovano ilgessaio che caricava i sacchi del gesso sui suoi somari magri e sbilenchi.

- Sua Maestà vuole l'asino dai guidaleschi.

- Il Re è padrone anche della mia vita. L'asino è lì;menatelo via.

Fanno per accostarsie l'asino si rivoltaspara calci allegambe e alla schiena delle guardiedà morsi che levano brani di carne.

Il Realla vista delle guardie conciate a quel modoperdéil

lume degli occhi:

- Andate a dire al gessaiose fra un'ora l'asino daiguidaleschi non è nelle stalli realici va della sua vita.

Il gessaio rispose:

- Il Re è padrone; fra un'orail mio asino mangerà labiada nelle stalle reali.

E glielo menò lui medesimo.

- Maestàci rivedremo da qui a un anno.

- Che intendi dire?

- Niente. Ci rivedremo da qui a un anno.

Econ le mani. in tascas'allontanò tranquillamente.

Il Re volle provare da sé la valentìa dell'animale. Ordinòlo conducessero nei giardini realibardato benecon sella e brigliae vimontò a cavallo:

- Avantifocoso!

L'asino partì come una saettaein men che non si dicepercorse tre volte tutti i viali.

Quei guidaleschi però facevano schifo al Re.

Quantunque ora mangiasse quanta biada voleval'asino noningrassava puntoe le sue piaghe rimanevano aperte come prima.

Il Re chiamò un maniscalco:

- C'è un rimedio ai guidaleschi?

- Maestàin otto giorni ve li do belli e sanati.

Infattiotto giorni dopol'asino non si riconosceva più.Era grasso e tondocol pelo lustroe dei suoi tanti guidaleschi non siscorgeva nemmeno il segno.

Il Re pensò di fare una passeggiata a cavalloe ordinò glisi sellasse quell'asino; la cortetutti a cavallodoveva precederlo con granpompa.

Una folla immensa s'accalcava davanti il palazzo reale pergodersi lo spettacolo. Ed ecco la sfilatae dietro a tutti il Re montato sul'asino.

Appena uscito fuori del portonel'asino non vuole andare néavantiné indietro.

- Avantifocoso! Avantifocoso!

Che avanti focoso! Era come dire al muro. Impuntatosicolcollo tesol'asino pareva incantato. Invano il Re si sgolava:

- Avantifocoso! Avantifocoso!

E accompagnava le parole con colpi di sprone. Niente.All'ultimol'asino si mette a ragliare e a far le boccaccefra le risate ditutto il popolocon gran dispetto del Re.

A un suo cennoi servi chi dà all'asino pedate alla panciachi legnate sul gropponechi punture in tutte le parti; ma l'asinoduro;ragliafa boccacce. E per non restare lì esposto alle risate della genteilRe dovette scendere da sella e rientrare in palazzo. La bella cavalcata andò amonte.

Figuriamoci la rabbia del Re!

Intanto la fama di quell'asino dai guidaleschi e che correvapiù del ventos'era sparsa pel mondo; e un giorno il Re ricevette una letteradel Re suo amico e vicinoche gli chiedeva in grazia di mandarglielo a vedereper pochi giorni. Imbarazzatoglielo spedìfacendogli sapere che l'animaleaveva perdutonon si sapeva come né perchéla sua virtùed era invecediventato un somaraccio intrattabile.

Quel Re non gli credettesi stimò canzonato ed offeso; eper vendicarsilevò su l'esercito e gl'intimò la guerra.

L'altrolevato anche lui l'esercitogli corse incontro.Appiccò battagliacon gran sanguema fu sbaragliato; a stento potéricoverarsi sano e salvo dentro le mura della capitale.

Nel salire le scale di palazzosente l'asino che raglia.

- Che ha quel somaraccio?

- Raglia da tre giornida mattina a sera. Con la guerrachipoteva badare a governarlo bene? Ed è ridiventato magro e spelato e tuttocoperto di guidaleschi qual era una volta. E ragliaragliaragliaquasichiami il suo antico padrone.

Il Re si sovvenne delle parole del gessaio:

- Maestàci rivedremo da qui a un anno. - Era giusto unanno da quel giorno. E il disastro della guerra gli era appunto cascato addossoper cagione del somaraccio!

Mandò a chiamare il gessaio.

- Perché dicesti: Maestàa rivederci da qui a un anno?

- Me l'aveva detto l'asino.

- Parla quell'asino?

- Parla; lo intendo io solo.

- Va' a sentire che ti dice.

Il gessaio scese in istallae l'asino subito:

- Aah! Aah! Aah! Aah! Aah!

- Maestàdice...

E si fermò.

Di' pure! ambasciatore non porta pena.

- Dice: Se il Re mi dà la Reginottagli faccio vincere laguerra.

- Proprio così?

- Proprio così.

Il Re rimase perplesso. La Reginotta in isposa a un asino coiguidaleschi e la coda mozza? Poteva mai essere? Quell'asino però non era unasino simile agli altri.

- Qui c'è un mistero! - disse il Re.

E radunò il Consiglio della Corona.

I consiglieriudita la cosasi guardarono in viso; nonsapevano che consigliare. Soltanto uno ebbe il coraggio di rispondere:

- Maestàio direi sì. Vinciamose sarà vero; poi iltempo dà consiglio.

Il gessaio riferì all'asino la risposta del Re; e l'asino:

- Aah! Aah! Aah!

- Maestàdice: Prima sposarepoi andare alla guerra.

Messo dalla necessità con le spalle al murogiacché ilnemico era quasi alle porteil Re acconsentì.

E l'asino fu sposato alla Reginottache gettava dagli occhidue fiumi di lagrimepoverinae voleva piuttosto morire che essere moglie diquel somaraccio schifoso.

- Ora vedreteMaestà - dice il gessaio. - Chiamate araccolta i soldati e fate aprire le porte.

Monta su l'asino con la spada sfoderatae:

- Avantifocoso!

Al solo raglioi nemici furono presi di tale paura che nonci vedevano dagli occhi; fuggivanolasciandosi scannare come pecore; e l'asinosalta di quabalza di làa furia di calci ne ammazzò più di migliaia.

- Avantifocoso!. Soldatiavanti!

Insomma fu un massacroe ci lasciò la vita anche il Re cheaveva intimato la guerra.

- E l'asinogessaio?

- Maestàil povero asino è morto in battaglia.

- Tanto meglio! - esclamò la Reginottache non le parevavero.

- Fatelo scorticaree portatemene la pelle.

All'ordine del Repartono gli scorticatori e trovano l'asinoin mezzo ai morticon le gambe all'aria

Cominciarono dallo scorticare le gambe davantied ecco chesotto la pelle compariscono due piedi umaniche muovevano le dita quasivolessero sgranchirli.

Scappano atterriti:

- Maestàdentro la pelle di quell'asino c'è un uomo vivo.Non abbiamo il coraggio di scorticarlo.

Accorseil Reseguito dal Ministri e da tutti i cortigiani;e visto quei piedi di uomoinvece degli scorticatorifece chiamare i chirurghidi corte perché operassero più delicatamente con l'arte loro. Ma i ferri deichirurghi non riuscivano a staccare la pelle.

- Maestà- disse il gessaio - qui ci vuole la mano dellaReginotta; e se non fa subitoguai a voi!

Il Re che oratrattandosi di quell'asinonon dubitava piùdi nullasenza por tempo in mezzomandò a chiamare la Reginotta.

- Figliuola miascorticalo tu; se noguai a noi!

Aveva ribrezzo e paura; ma sentendo quel: Guai a noi!lapovera Reginotta afferrò con le dita tremanti il lembo di pelle staccatoe neltenderlo si accorse che si staccava da sé. Allora tirò fortee fu come seavesse strappato una coperta. Dell'asino non rimaneva più nientee un belgiovanericcamente vestitosi rizzava in piedi con tanto di occhi sbalorditiquasi si destasse da un sonno profondo.

- Chi sei?

Quegli apre la bocca per parlare; ma invece di parole gliscappa un sonoro: Aah! Aah! Aah! un bel raglio accompagnato da gestie dietrofuori dell'abitogli s'agitava un moncherino di codaquello dell'asino morto.

Lo condussero a palazzo. Tutti ammiravano il corpo benconformato e il bellissimo aspetto di quel giovane. Peccato chein cambio diparlareragliasse!

- Che si può faregessaio?

Maestàil bando prometteva: Avrà tant'oro quanto puòportarne il cavallo con cui ha fatto la corsa. E io finora non ho avuto niente.

- Che c'entri tu con costui?

- Il suo destino vuole così. Una Maga lo incantòmutandoloin asinoper vendicarsi dei parenti di lui che le avevano fatto un'offesa.Venne da me e mi disse: Vuoi comprare quest'asino? Dovresti darmi la monetad'oro che ti trovi in tasca. Non te ne pentirai; a suo tempoti frutterà piùdel mille per cento. E mi spiegò ogni cosa. Se io non ho il mio oronon possorivelare in che modo il Reuccio può riaquistar la parola. E sappiate che costuiè proprio di sangue reale.

Il Re condusse il gessaio nella stanza del tesoro.

Serviti con le tue mani; prendine quanto ne vuoi.

Il gessaio si caricò peggio d'un somaroportò l'oro a casasua e ritornò a palazzo.

- Maestàora tocca a voi. Dovetea forza di bracciastrappargli quel moncherino.

Il Re si rimbocca le manicheafferra con le due mani ilmoncherinoe tirae tirae tira; ma non c'era verso. Sudavasbuffavanon nepoteva più.

- ForzaMaestà!

Tiratiratira; non c'era verso.

- ForzaMaestà!

La Reginottai Ministritutti i cortigiani che stavanoattornovedendo gli sforzi del Resi sforzavano anche loro quasi avesserotutti in mano un moncherino di coda; e gridavano:

- ForzaMaestà!

Il Reucciovolendo gridare insieme con gli altri: ForzaMaestà! si mise invece a ragliare:

- Aah! Aah! Aah!

Il moncherino si strappae il Recon esso in manobatte laschiena per terra.

- GrazieMaestà!

Il Reuccio parlava; l'incanto era finito.

 

E Finisce pure la fiaba.

A chi non piacela riporti al ciaba.

 

 

 

I due vecchietti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C'era una volta due vecchiettimarito e moglieche vivevanopoveramente. Non potevano più lavoraree pensavano con terrore ai giorno incui avrebbero finito di mangiare quel poco messo da parte in tant'anni difatiche e di stenti.

Si eran voluti sempre beneeran sempre vissuti in pacecontenti di quel che guadagnavanosenza invidiare gli altrisenza desiderareniente che sorpassasse la loro modesta condizione. E così erano arrivati allavecchiaia.

Ora peròfra le privazioni e gli acciacchiripensavano condolore al bel tempo della loro giovinezza. Facendo il confronto tra quelli cheerano stati e quelli che eranoal presentequasi non si riconoscevano più.Curvicanutitutti grinzesenza denticoi piedi strascicantisi mettevanoal sole davanti la porta di casae stavano lì lunghe ore a guardare i bambiniche facevano il chiasso.

- Ricordimoglie mia?

- Ricordimarito mio?

E crollavano la testa.

D'inverno andavano a letto di buon'ora; almeno nel lettostavano caldi. E anche lìquando non potevano dormirericominciavano:

- Ricordimoglie mia?

- Ricordimarito mio?

Era di dicembre; nevicavafaceva un gran freddo. Neppure nelletto essi riuscivano a scaldarsi. Sentirono dei picchi alla porta e un lamento:

- Datemi alloggio per questa notte! Non mi fare morire inmezzo alla via!

- Apriamo? - disse la moglie.

- Apriamo.

Entrò una vecchina come lorotutta coperta di neveinzuppata d'acqua e inzaccherata.

- Chi siete? Dove andate?

- Sono la Fortuna; vado pel mondo.

- Siete la Fortuna? Con quei cenci? Con quelle ciabatte?

- Per non farmi riconoscere.

I due vecchietti si rallegrarono in cuor loro. La Fortunaprima di andar via gli avrebbe lasciato un bel regalo. E le fecero posto nellettoin mezzoperché stesse meglio.

La mattinaprima dell'albala vecchina era in piedi:

- Non mi chiedete niente?

Marito e moglie si consultaronoimbarazzati.

- Che chiedere? Ricchezze? Non se le sarebbero potute godere.Onori? Non sapevano che farne. Salute? Per vecchinon stavano male. Chechiedere?

- La fanciullezza! - disse la moglie.

- Avremmo tutto con essa! - disse il marito.

- Nient'altro? - domandò la Fortuna.

- Nient'altro!

- Ecco qui.

E porse una boccettina con poche stille d'acqua limpidadentro:

- Bevete e vedrete.

I due vecchietti volevano aprir la porta per farla uscire; sivoltarono; ma la Fortuna era già lontana cento miglia.

- Buon viaggio!

- E buon ritorno!

Marito e moglie si fregarono le mani dalla contentezza.

- Ora beviamo.

- Sono proprio due stille. Guardauna per meuna per te.

- Berrò io la prima.

- Noberrò io.

Cominciarono a leticare.

- Non hai fiducia in memarito mio?

- E tu?

- Io ti ho sempre voluto bene; ho fatto tanti sacrifizi perte. L'hai dimenticato dunque tutt'a un tratto?

- Ed io? L'hai dimenticato? Sono il maritodevo bere ilprimo.

- Sono donnaperciò tocca a me!

- Dividiamo le gocce.

- Dividiamole. Sarà meglio.

Le divisero e bevvero; ma continuarono a leticare.

- Io non provo nienteforse perché non me n'hai datoabbastanza!

- Neppure io provo niente. Forse quella vecchia ci hacanzonati.

- Ho sonno; andiamo a letto.

- Andiamo a letto.

Eimbroncitisi coricarono.

- Fatti più in là! Sto proprio su l'orlo.

- Io sto per cascare.

La moglie diè uno spintoneil marito un altro; il lettotraballava. Avevano una forza insolita. Ah! L'acqua operava. Allora sichetaronoaspettando.

La mattinaallo svegliarsisi trovarono diventati ragazzi.Ma non si riconoscevano.

- Tu chi sei? E che ci fai qui?

- Io sono a casa mia. E tu chi sei?

- Che t'importa? Facciamo il chiasso.

- Facciamo il chiasso.

E si misero a ruzzare sul lettocon salti e capriole. Piùtardiaprirono la porta e si trovarono nella via.

- Tu per dove vai?

- Per qua.

Io per quest'altra parte.

Si voltarono le spallesenza neppur salutarsie sen'andarono ognuno pei fatti suoi.

Il ragazzo incontrò un signore.

- Vuoi prender servizioragazzo?

- Che devo fare?

- Strigliare i cavalli e portarli a bere alla fontana.

Una mattina egli vide passare davanti la scuderia la ragazzacon cui aveva fatto il chiasso sul letto tra salti e capriole.

- Oh! Tu?

- Sono a servizio.

- Sei contenta della padrona?.

- Chè! Mi sgridami picchia per un nonnulla.

- Anche lo stalliere mi sgrida e mi picchia per un nonnulla.Vado a cavallo peròquando vo ad abbeverare le bestie.

- Io vo in carrozza con la signoraquando porto il bambino.

- Se fossi grandenon mi picchierebbero!

- Neppur mese fossi grande!

La padrona chiamava dalla finestralo stalliere chiamavadalla stalla.

- Fannullona!

- Fannullone!

E scapaccioni e strilli su in casa; e scapaccioni e strilligiù in istalla.

Pochi giorni dopoegli vide passare davanti la scuderia laragazza che piangeva:

- Che hai?

- La signora mi ha mandata via.

- Vado via anch'io. Andiamo insieme?

- Dove?

- Dove ci portano le gambe

Camminacamminacamminasi spersero in mezzo a un bosco.Si faceva buioe non riuscivano a trovare la strada. Cominciarono a strillare:

- Ahmamma mia! Come faremo?

- Perché piangeteragazzi?

- Nonninadateci aiuto! Abbiamo smarrita la strada.

- Non mi riconoscete?

- Non vi abbiamo mai vista.

- Sono la Fortuna. Che volete? Chiedete e vi sarà dato.

I ragazzi si consultaronoimbarazzati.

- Che chiedere? Ricchezze? Gliele ruberebbe il primo checapitava; non si potevano difendere. Se potesse farci diventar grandie darciun po' di denarotanto da non dover star a servizio in casa altrui!

- Nient'altro?

- Nient'altro.

- Prendete; mangiate queste due focaccee poi schiacciatequeste due noci. Vedrete.

E sparì.

Mangiarono le focacce e si addormentarono. La mattinasvegliandosisi avvidero di esser cresciuti di una ventina d'anni almeno; manon si riconoscevano.

- Chi siete? Che fate qui?

- Sono una boscaiola. Faccio legna. E voi?

- Sono un boscaiolo; faccio carbone.

- Ho una noce: è la fortuna.

- Ne ho un'altra anch'io.

Le schiacciarono e ne sgusciarono fuori tante monete d'oronuove di zecca.

- Questa è la mia dote.

- E questa è la mia.

Si sposaronoe lavoravano da mattina a sera. Lei facevalegna e lui faceva carbone. Ma era una vita dura. Pure mettevano sempre qualcosada parte.

- Ci servirà per quando saremo vecchi.

Spesso si lamentavano:

- Che vitaccia!

E contavano i quattrini già messi da parte. Erano moltinonperò ancora abbastanza da potere passar bene la vecchiezza.

- Quando saremo vecchici riposeremo.

- C'è ancora tempomarito mio.

Una notte udirono rumore attorno alla capannae voci cupeche dicevano:

- Tu qua; tu là; io dalla portatu dal tetto!

- OhDio! Sono i ladri.

Marito e moglie si sentirono gelare.

Uno scassinava la portauno sfondava il tetto:

- Non vi muovete o siete morti! Dove sono i quattrini?

Erano più morti che vivi soltanto per lo spavento di quellefacce barbute che gli appuntavano i pugnali alla gola:

- Dove sono i quattrini?

- Eccoli lì.

I ladri fecero repulisti e andarono via.

La mattina dopo marito e moglie non avevano forza di lavoraree piangevano in mezzo al bosco:

- Poveri a noi! Come faremo?

- Che avetebuona gente? Perché piangete?

- Ahnonnina! La notte scorsa siamo stati spogliati dailadri!

- Non mi riconoscete? Sono la Fortuna. Chiedete e vi saràdato.

Marito e moglie si consultaronoimbarazzati:

- Che chiedere? Il meglio sarebbe stato una tranquillavecchiezzacon tanto da non stentare fino alla morte.

- Nient'altro?

- Nient'altro.

- Ecco qui. Mangiate queste due pere e vedrete. In questaborsa poi ci sarà sempre del denaro. Più ne spenderete e più ne troverete.

Prima che le dicessero grazieera sparita.

Marito e moglie mangiarono ognuno la sua pera e siaddormentarono. Allo svegliarsistrascicavano i piedi. E si ricordavano di ognicosa passata.

- Che sciocchi! Abbiamo rifatto la stessa vita! Non mettevaconto. Ricordimoglie mia?

- Ricordimarito mio?

Erano tornati ad abitare la loro casa d'una volta.

Si mettevano al sole davanti la porta e stavano lì lungheore a guardare i bambini che facevano chiasso.

- Ricordimoglie mia?

- Ricordimarito mio?

- Che sciocchi! Abbiamo rifatto la stessa vita. Non mettevaconto. Giàfarne un'altra sarebbe stato lo stesso. Fanciulligiovanivecchi!O poveri o ricchis'invecchia tutti; e tutti dobbiamo morire!

Spendevano e spandevano; mangiavano benesi prendevano ognisorta di divertimentie non avevano nessun pensiero dell'avvenire; la loroborsa era sempre piena; più quattrini ne cavavano e più ce n'era. Sarebberostati felicise non li avesse angustiati il pensiero fisso della morte. Ognigiorno che passavaera un passo verso la sepoltura. Non se ne davano pace.

Una mattina stavano sedutial solitodavanti la porta pergodersi il sole.

- Chi samarito miose rivedremo il sole domani!

- Ehchi lo samoglie mia!

Videro accostarsi una vecchina:

- Fate la carità!

- Siete più vecchia di noi; quant'anni avete?

- Gli anni miei non si contano. Non può contarli nessuno.

La guardavano sbalorditi.

- E camperete molt'altri anni ancora?

- Finché ci sarà mondo.

- Chi siete?

- Non mi riconoscete? Sono la Fortuna. Chiedete e vi saràdato. Prima di mill'anninon ripasserò da queste parti.

Marito e moglie si consultaronoimbarazzati:

- Che chiedere? Gioventùricchezzetutto passavatuttoandava via. Se non si potesse morir mai! L'unica felicità sarebbe questa.

- Se non chiedete altro; vi sarà concessa.

- Non chiediamo altro.

- Ecco qui.

E porse una boccettina con poche gocce di un liquore rossodentroche pareva sangue.

- Bevetee vedrete.

Prima che potessero dirle grazieera sparita.

- Berrò io il primo.

- Noberrò io.

- Sono il marito; devo bere il primo.

- Sono donnaperciò tocca a me.

- Facciamo come l'altra volta; dividiamo le gocce.

- Dividiamole; sarà meglio.

Le divisero e bevvero. Si sentirono diventare quasi diacciaio.

- Ohche felicitàmoglie mia! Non morremo mai!

- Ohche felicitàmarito mio! Non morremo mai!

Passarono più di cento anni. Marito e moglie erano sempregli stessicurvicanutitutti grinzesenza denticoi piedi strascicantieogni giorno stavano lunghe ore davanti la portaal solea guardare i bambiniche facevano il chiasso:

- Ricordimoglie mia?

- Ricordimarito mio?

Ma non erano però così contenti come avevano creduto didover essere. Tutto cangiava attorno a lorotutto moriva attorno a loro. Non sipotevano affezionare a nulla e a nessunoche già se lo vedevano portar viadalla morte.

Passarono più di mille anni. Marito e moglie erano sempregli stessiimpresciuttiti; ma orasedendo davanti la porta al solenonbadavano più ai bambini che facevano il chiasso; non ripetevano più: Ricordimarito mio? Ricordimoglie mia? Sbadigliavano:

- OhDioche noia!

- Sempre la stessa storia!

Non ne potevano più. Avevano visto tante e tante cosetantagentetanti avvenimenti: guerrefamipestilenzefeste d'ogni sortacosebellecose tristitantetantetante! Mainfinegira e rigira un continuonascereun continuo morire; gira e rigirasempre quella! Non ne potevano più;si sentivano sazii di esser vissuti tantostanchi di vivere ancora.

- Che facciamomoglie mia! Io vorrei morire.

- Anch'io. Chiamiamo la morte. Se non la chiamiamononviene.

E la chiamarono ad alta voce:

- O Morte! O Morte!

Accorsescheletritacon la falce in mano.

- Che volete da me?

- Vogliamo morire.

- Non posso toccarvi; la Fortuna non vuole.

Si sentirono stringere il cuore.

Passarono altri cento anni. Marito e moglie erano sempre glistessiimpresciuttiti; ma ora non si vedevano più neppure avanti la porta pergodersi il sole: erano sazii anche di esso che appariva tutte le mattine dallastessa parte e andava a coricarsi tutte le sere nella stessa parte.

Il sole però non si annoiava mainon si stancava mai!

- Noi noè veromoglie mia?

- Sìè veromarito mio!

- E la Fortuna non si vede più!

- Dovrà ripassare. Ripasserà.

L'attesero altri cent'anni. Finalmente rivenne e non alsolito da vecchinama sotto l'aspetto di bellissima donnacon lunga vestecosparsa di orodi perledi diamanti. Non la riconobbero.

- Chi siete?

- Sono la Fortuna. Chiedete e vi sarà dato.

- Ah FortunaFortuna! Non vogliamo nulla; vogliamo morire!

- Va bene; uno oggi e subito subitol'altro fra cent'anni.

- Perché non insieme?

- Non si può; uno oggisubito subitol'altro fracent'anni.

- Marito mioper amor tuoscelgo di morire io fracent'anni.

- Moglie miaper amor tuocedo il posto quest'oggi.

- Non siete più a tempo! A rivederci fra altri cento anni.

E per cento annimarito e moglie leticarono continuamente:

- La colpa è tua. A quest'ora saremmo bell'e morti edormiremmo in pace sottoterra!

- La colpa è tua! Ah! Perché non abbiamo lasciato andare lecose pel verso loro.

Contavano i giornile orei minutie leticavano fin sulconto di essitanto smaniavano di veder arrivare la Fortuna.

- Eccomi. Chiedete e vi sarà dato.

- AhFortunaFortuna! Non vogliamo niente: vogliamo morire;non ne possiamo più!

- Vado a chiamare la Morte.

I vecchietticontentissimiimbandirono una bella tavolaeindossarono gli abiti di festa. La gentemeravigliatadomandava:

- Che vi accadevecchietti?

- Oggi le cose tornano ad andare pel verso loro. È il versogiustotenetelo a mente!

E caddero bocconifreddi stecchiti.

La Morte era arrivata senza ch'essi se ne accorgessero.

 

Fiaba oscuranespola dura

La paglia e il tempo ve le matura.

 

 

- FINE -